Alla cena annuale del 1941 (31 gennaio, Murray Hill Hotel, Park Avenue 112, N.Y.) de “Gli Irregolari di Baker Street” (The Baker Street Irregulars, associazione fondata da Christopher Morley nel 1934)* Rex Stou, che era ospite d’onore, lesse un discorso intitolato “Watson era una donna” (Watson Was a Woman, “The Saturday Review of Literature”, 1 marzo 1941).
Il dottor Julian Wolff (leader del club dal 1960 al 1986) replicò l’anno dopo (9 gennaio 1942) con “Non era una signora” (That Was No Lady, “American Journal of Surgery”, 1 Novembre 1942). Entrambi gli interventi furono poi ristampati in Edgar W. Smith (a cura di), “Profile by Gaslight. An Irregular Reader About the Private Life of Sherlock Holmes” (Simon & Schuster, 1944).
Oggigiorno siamo abituati alle interpretazioni “eretiche” del canone, basti pensare alla Serie TV “Elementary” (CBS 2012-2019) ambientata in epoca moderna a New York, con Johnny Lee Miller nella parte di uno Sherlock Holmes un po’ nevrotico e Lucy Liu (attrice americana di origine taiwanese) nella parte della dottoressa Joan Watson. Nel 1941, tuttavia, viene da pensare che ci volesse un iconoclasta come Stout per imbastire un simile scherzo ai membri del club che lo avevano gentilmente invitato.
Il famoso giallista si applicò molto per dare alla sua ipotesi una patina di credibilità. Di fatto, i suoi indizi sono basati su passaggi del canone in cui le osservazioni di Watson su Holmes potrebbero apparrire simili a quelle che avrebbe potuto fare una moglie. In uno di questi passaggi (tratto da The Creeping Man, 1923) Watson, a proposito della sua relazione con il detective, dice che per Holmes lui era un’abitudine, come il violino, il tabacco trinciato e la vecchia pipa.
Non si può negare che il beffardo scrittore avesse scovato degli atteggiamenti di Watsono che potevano offrire qualche analogia con la sua ipotesi, ma ovviamente non era niente di diverso dagli atteggiamenti materni della signora Hudson nei confronti di Holmes, che non bastano certo a far sospettare che in realtà fosse sua madre.
Non contento di aver gettato l’ombra del dubbio sulla figura del biografo, Stout pretendeva di aver trovato una vera prova, che egli costruì mettendo insieme, con una prcedura apparentemente logica, i titoli di dieci racconti e di un romanzo, in maniera da formare un acrostico che era il nome “Irene Watson”! Con ciò, Stout affermò di aver dimostrato il suo assunto, pur ammettendo che i numerosi indizi che aveva messo insieme fossero solo un lavoro preliminare, che sarebbe stato seguito da un’indagine più approfonditaa, che avrebbe eliminato qualunque dubbio residuo sull’evidenza della sua conclusione. Inutile dire che il suo discorso del 1941 non ebbe, in realtà, alcun seguito.
La leggenda vuole che, alla fine del suo discorso, Stout sia stato buttato fuori dal club, ma si tratta appunto di una leggenda. È molto più probabile che la perfomance dello scrittore sia stata accolta con un applauso di apprezzamento per il suo brillante divertissement. Ciò non toglie che, a un anno di distanza, Julian Wolff abbia sentito il dovere di presentare un intervento, nel quale respingeva le insinuazioni di Stout, che erano catalogate come prive di senso.
Come esempio dei contro-ragionamenti di Wolff possiamo citare la sua replica all’accenno fatto da Stout sullo svenimento di Watson al riapparire di Holmes dopo la sua sparizione alle cascate del Reichenbach. Wolff fece notare che Stout aveva omesso la precisazione di Watson sul fatto che quella fu la prima e unica volta in cui gli capitò di svenire per uno shock, una precisazione che una donna non avrebbe mai fatto, dato che le donne non si vergognano di essere svenute, ma quasi ne sono orgogliose (perché uno svenimento accentua la loro femminilità, si presume).
Per controbilanciare l’acrostico di Stout, Wolff mise insieme a sua volta i titoli di alcuni racconti, in modo che, leggendo la prima lettera del primo, la seconda del secondo, la terza del terzo e così via, venisse fuori la frase ”Nuts to Rex Stout”, che letteralmente significherebbe “Nocciole per Rex Stout”, ma che nello slang è un modo per mandare qualcuno al diavolo.
La vera sorpresa è però la seconda parte del discorso di Wolff, nella quale egli ammetteva una certa petulanza nel modo di fare di Watson e la associava alla ferita da lui subita durante la guerra, che non è chiaro se fosse alla spalla o alla gamba. Wolff finì così per ipotizzare che la ferita si trovasse a metà strada tra le due, e più esattamente… all’inguine!
Emerge così, e in modo piuttosto inatteso, un’insinuazione sul povero Watson da parte di Wolff che è decisamente peggiore di quella messa in atto da Stout, con il che diventa chiaro che il clima dei ricevimenti degli Irregolari di Baker Street fosse alquanto goliardico e irrispettoso. Del resto sono stati loro, i membri del club, a inventare “il grande gioco”, il cui assunto era che Sherlock Holmes e il dottor Watson fossero persone reali.
*Nota
Il primo incontro ebbe luogo il 6 gennaio del 1934 presso il Christ Cella’s Restaurant (una steakhouse sita al 144 della 45a Str. Est, New York) e fu seguito dalla cena ufficiale del 5 giugno e dalla cena annuale del 7 dicembre.
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