Sul recente numero 62 della rivista Sherlock Magazine, sono presenti i racconti che nell’ultima edizione dello Sherlock Magazine Award si sono classificati ai primi tre posti. A essi si aggiunge il racconto lungo (quasi un romanzo breve) di Antonella Mecenero, Sherlock Holmes contro il Fantasma dell’Opera, già pubblicato sul numero 185 della collana Sherlockiana (Delos Digital, 2017).
La storia si segnala per più di un motivo. Intanto è una ripresa del famosissimo Le Fantôme de l’Opéra di Gaston Leroux (serializzato su Le Gaulois a cavallo tra il 1909 e il 1910). Il libro (pubblicato in Italia nel 1923 dalla Società Editoriale Italiana) ebbe un successo clamoroso ed è diventato un classico. Quasi non si contano le opere teatrali derivate (quindici, più quattro musical e un balletto) e le trasposizioni televisive (cinque) e cinematografiche (nove) tra cui il film di Terence Fisher (1962) quello di Dario Argento (1998) e quello di Brian De Palma (1974, col titolo Il fantasma del palcoscenico).
Di Leroux, giornalista e scrittore, vogliamo citare quanto meno un altro romanzo, Le Mystère de la chambre jaune (L’Illustration, settembre-novembre 1907) ovvero Il mistero della camera gialla (Salani, 1909) un classico della camera chiusa (locked-room mystery) molto apprezzato anche da John Dickson Carr.
Mecenero manipola in modo sapiente la trama originale del romanzo, quel tanto che basta a permetterle di inserirvi in modo credibile un personaggio ingombrante come Sherlock Holmes, allora appena agli inizi della sua folgorante carriera. Il detective si muove da par suo negli ambienti fascinosi e al tempo stesso inquietanti del famoso teatro parigino, ma non ha ancora messo a punto la sua quasi leggendaria capacità di controllare situazioni e persone, il che non sarà privo di conseguenze nello svolgersi degli eventi.
Lo stile brillante del racconto apocrifo riecheggia in modo magistrale quello dello stesso Arthur Conan Doyle, e il personaggio di Holmes viene delineato con una finezza non comune. Trattandosi di un’avventura “giovanile” (situata un po’ prima dell’incontro tra Holmes e il dottor Watson) che viene però raccontata dallo stesso Holmes, maturo e già in “pensione” ma non certo anziano, l’autrice ha modo di descrivere il personaggio in una maniera completa e complessa, perché lo Sherlock da lei tratteggiato è quello dell’intero arco narrativo compreso tra i due estremi: quello giovane e quello maturo.
Ci troviamo così alle prese con un uomo che racconta se stesso con la stessa impietosa oggettività con cui parlerebbe di chiunque altro, e che riesce a far rivivere un ambiente di parecchi anni prima, il cui fascino è rimasto però inalterato.
L’epoca in cui Holmes racconta gli eventi è la stessa in cui Leroux scriveva il suo romanzo, ma la vicenda si svolge in un periodo precedente, che corrisponde appunto a quello in cui Holmes aveva appena cominciato la sua carriera da detective “consulente”. Proprio perché il suo lavoro è iniziato da poco, la circostanza di trovarsi immerso nelle atmosfere di un teatro così rinomato come l’Opèra di Parigi (inaugurato quattro anni prima dell’epoca del racconto) apre nel cuore di Holmes una piccola crisi esistenziale, legata alla sua passione per il violino e alla possibilità, ventilata da qualcuno, che egli possa diventare un novello Paganini.
Come si può facilmente immaginare, ce n’è più che abbastanza per trasformare il lungo racconto di Mecenero in un apocrifo davvero notevole, nel quale viene raggiunta una perfetta sintesi tra le componenti gotico-romantiche derivate da Leroux e gli elementi di analisi razionale mutuati da Conan Doyle.
Colpisce, nel personaggio di Holmes ritratto da Mecenero, l’emergere di un tratto emotivo che è in apparente antitesi con la freddezza generalmente attribuita al famoso detective, e che tuttavia si attaglia perfettamente alla sua psicologia. Ci riferiamo a quel misto di rammarico e senso di colpa cui indulge talora Holmes nel rievocare eventi trascorsi, per non essere riuscito ad assolvere ai compiti che si era prefisso con l’accuratezza che avrebbe voluto.
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Questo tono emotivo vagamente crepuscolare sostituisce in Holmes quello che per altri sarebbe un vero e proprio rimpianto per ciò che non è stato. Nell’economia di questo racconto di Antonella Mecenero, in cui Holmes si trova alle prese con un personaggio complesso, tortuoso e ambivalente come Erik, riguarda anche la sua passione per il violino, rimasta in definitiva inappagata. Notevole, in tal senso, l’intensità emotiva raggiunta da Holmes durante l’esecuzione della famosa sonata di Giuseppe Tartini, Il trillo del diavolo.
In conclusione, ci sembra ottima l’idea del direttore di “Sherlock Magazine”, Luigi Pachì, di riproporre su carta lo splendido racconto di Antonella Mecenero, che ha già pubblicato altre storie su Holmes, tra cui il romanzo Sherlock Holmes e il mistero dell’uomo meccanico (Il giallo Mondadori Sherlock, 113, Mondadori, 2024).
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