La casa editrice “Le Assassine” ci porta alla scoperta di scrittrici che, a vario titolo, sono state pioniere della letteratura gialla con la collana Vintage. Alcune autrici sono ormai cadute nell’oblio, altre sono tuttora lette o hanno premi dati in loro onore.
La nostra attenzione questa volta va a Isabel Ostrander e alla sua opera All’una e trenta. Damon Gaunt è un detective cieco che deve indagare sulla morte di un uomo d’affari. La famiglia si rivolge a lui perché vuole una rapida soluzione del caso. Ma sarà la scelta giusta?
Di seguito la nostra intervista a Tiziana Prina, che ci racconta di un giallo scritto ormai oltre cento anni fa e di un detective cieco in grado di utilizzare tutti gli altri sensi per risolvere il caso che gli è stato affidato.
Tiziana, raccontaci qualcosa dell’autrice e del suo stile narrativo.
Inizio dandovi qualche breve dato biografico su Isabel Ostrander. Si tratta di una scrittrice americana di gialli molto prolifica, ne scrisse più di trenta, usando come nom de plume non solo il proprio, ma diversi pseudonimi maschili quali Robert Orr Chipperfield, David Fox e Douglas Grant, segno dunque che per affermarsi c’era la necessità di presentarsi come scrittore e non come scrittrice. Comunque negli anni Venti era molto conosciuta, tanto che Agatha Christie si ispirò a due suoi detective per creare i personaggi di Tommy e Tuppence in Partner in crime. Purtroppo morì nel 1924 a soli 41 anni, finendo tra le autrici cadute nell’oblio; noi l’abbiamo riscoperta pubblicando per la prima volta questo suo romanzo per i lettori italiani. Va detto però che le sue trame sono servite per la scenografia di non pochi film muti.
In quanto a stile narrativo, direi che colpisce sia per la sua fine capacità di dare vita a personaggi ben delineati e psicologicamente ben strutturati, soprattutto per quanto riguarda il detective Gaunt, che per le sue trame abilmente costellate di aringhe rosse, espediente usato nei gialli per depistare il lettore nella ricerca del colpevole. Mi ha poi colpito la scrittura davvero accurata e a volte anche poetica, pur trattandosi di un romanzo giallo.
Quest’opera introduce la figura dell’investigatore cieco il cui straordinario acume supplisce alla mancanza della vista. Qual è il caso per il quale viene chiamato a indagare?
In questo giallo, che risale ormai a oltre cent’anni fa, Damon Gaunt è un detective cieco chiamato a indagare sulla morte di un ricco uomo d’affari, molto in vista nella società newyorkese che conta. La famiglia del morto si rivolge a lui, infallibile nonostante sia cieco fin dalla nascita, perché non ha fiducia nella polizia e teme che un’indagine tirata troppo per le lunghe possa infangare il buon nome della famiglia. Inizialmente si pensa che il delitto sia dovuto a un furto, ma Gaunt smonterà l’ipotesi, scoprendo che l’omicida va cercato proprio all’interno della famiglia del morto. Centrale, come è già stato sottolineato, è la cecità del detective, che nel risolvere il caso è in grado di utilizzare tutti gli altri sensi, oltre alla sua perspicacia fuori dal comune.
È stato definito un vero mystery nella pura tradizione angloamericana della Golden Age. Da una parte, come hai anticipato, un ricco uomo d’affari molto in vista nella società newyorkese che conta e la sua famiglia, dall’altra la polizia e il timore che possa essere infangato il buon nome della vittima e dei parenti. È frequente trovare nei gialli questa sfiducia nei confronti delle Forze dell’Ordine?
Sì, soprattutto agli inizi del giallo classico è frequente questa poca considerazione nei riguardi delle Forze dell’Ordine, a mio avviso dovuta alla necessità di mettere in risalto la figura del detective. Non dimentichiamoci che inizialmente nella storia del giallo questi aveva molto spesso poteri sovrannaturali, del resto anche Sherlock Holmes riusciva a risolvere casi apparentemente irrisolvibili grazie alle sue strabilianti capacità deduttive.
Qui troviamo un espediente usato nei gialli per depistare il lettore nella ricerca del colpevole. Trovi che le indagini condotte siano ancora attuali o invitino, piuttosto, il lettore odierno a sorridere per l’ingenuità di un tempo?
Considerando tutti gli strumenti e le conoscenze di cui dispongono attualmente i criminologi e chi fa le indagini, viene un po’ da sorridere sui metodi usati, ma trovo comunque che le storie raccontate abbiano un loro fascino, e questo per molteplici motivi che sarebbe qui lungo elencare. Voglio solo dire che gli uomini e dunque i lettori non sono cambiati al punto da non apprezzare il gioco intelligente del giallo classico che conduce infine a una soluzione condivisa del caso. Come ho più volte detto è un gioco intellettuale a cui l’autore invita il suo lettore. E in questo trovo che vi sia molta più raffinatezza e intelligenza di molti gialli o thriller moderni, dove forse c’è solo più adrenalina.
Insomma, il detective cieco “ci apre gli occhi” sui segreti criminali. Credi che l’autrice abbia voluto usare la mancanza della vista per accentuare la perspicacia del suo personaggio o abbia tentato, già da allora, di parlare in un certo modo di inclusione?
Ah, su questa domanda non saprei che rispondere. Il tema dell’inclusione ci trova ancor oggi impreparati e non a caso si fanno al riguardo campagne di sensibilizzazione a vari livelli. Senz’altro però Isabel Ostrander si è posta il problema se questa disabilità potesse inficiare la vita di una persona; lei è tra le prime se non la prima a presentarci un ispettore cieco, e lo ha fatto prestando questa disabilità al personaggio principale e non a una figura di contorno. Tra l’altro trovo davvero intrigante il modo in cui la Ostrander abbia saputo attraverso i dettagli mostrare come il detective arrivi a certe conclusioni. Mi piace aggiungere che questo libro è stato adottato come lettura estiva in una scuola media, contribuendo forse in maniera leggera a considerare in maniera diversa chi ha questo handicap.
Infine, nell’originale del 1915 troviamo anche delle illustrazioni?
Sì, trovo che molte copertine dei gialli del passato siano cariche di fascino e questa di W.W. Fawcett lo è particolarmente. Pensavo a questo proposito di riproporre prima o poi una serie di copertine d’epoca che mi hanno particolarmente colpito e di mostrarle su uno dei miei social.
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