Tradurre un volume monumentale come questa antologia può essere di per sé un impegno di scrittura non riducibile alla “meccanica” delle parole, delle frasi – specie quelle idiomatiche – e della fedeltà al testo originale. Ne vogliamo parlare con Enzo Verrengia, che ha vissuto l’avventura scritta di rendere in italiano una varietà di circostanze narrative tutte da ricondurre al modello d’impostazione dominante: l’opera di Sir Arthur Conan Doyle. Ricordiamo che Il grande libro dei racconti di Sherlock Holmes è un volume antologico di circa 1000 pagine a cura di Otto Penzler ed è in vendita a 28 euro a partire dallo scorso martedì 27 ottobre.
Enzo, come hai affrontato il lavoro?
Innanzi tutto, ho eliminato ogni tentazione di rapportarmici come narratore. Certo, l’esperienza di scrivere romanzi e racconti in proprio aiuta a riprodurre da una lingua all’altra i frutti della creatività “esterna”. Ma l’unico protagonismo stilistico da garantire ai lettori dev’essere quello di chi si traduce. Bisogna farsi da parte.
Tu sei uno sherlockiano. Questo ti ha condizionato sul piano emotivo?
Moltissimo, nel senso migliore, credo. Ho trattato il materiale a volte con autentica venerazione, considerando anche che questi apocrifi sono firmati a loro volta da autori che amo moltissimo, tra i quali Barrie, Burgess e King. Ogni racconto mi dava la possibilità di interagire direttamente, sia pure in modo virtuale, con personaggi che hanno contribuito a crearmi la biblioteca mentale su cui baso praticamente tutta la mia vita culturale.
Quindi il tuo bagaglio di letture ti ha aiutato.
È stato determinante. Non solo sul piano filologico, ma anche su quello del supporto informativo per i lettori italiani. Nel libro vi sono molti riferimenti all’arte, alla letteratura e alla storia anglosassone. Io ho cercato di esplicitarli con le note a pie’ pagina e, quando possibile, “dilatando” il testo appena un po’, per inglobarvi certi “chiarimenti”. Da questo punto di vista, per me è stata la fase più stimolante. Io credo che la scrittura debba comunicare anche informazioni, arricchire il bagaglio di conoscenze e di riferimenti per chi legge, e nell’antologia di Penzler vi sono splendide occasioni di enciclopedismo.
Hai accennato alle “grandi firme” presenti nel libro. Nel tradurre i loro apocrifi, hai tenuto conto della produzione autonoma di questi autori?
Naturalmente. Si prenda il caso di Anthony Burgess, che, con Delitto a suon di musica ha confezionato un autentico capolavoro. Nel tradurlo, avevo in mente tutti i romanzi e i saggi dell’autore di Arancia meccanica.
Un bilancio conclusivo?
Il grande libro dei racconti di Sherlock Holmes è un’esperienza imperdibile per ogni lettore che oggi vada alla ricerca di una scrittura ricca, densa, gratificante. E lo dico rivolgendomi soprattutto a non sherlockiani. Penzler non ha voluto mettere insieme un titanico omaggio riservato agli aficionados. La sua antologia, invece, è un ampia ricognizione della qualità narrativa che oggi va perdendosi non solo nel minimalismo di certa nuova scrittura ma anche nella superficialità con cui la critica accoglie “novità” quasi del tutto prive di spessore. In queste pagine, lo spessore c’è… e non intendo quello del formato. Il grande libro dei racconti di Sherlock Holmes non deve mancare in ogni biblioteca che voglia essere completa.
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