Giobbe Tuama & C. di Augusto De Angelis, Mondadori 2020.
“Il vecchio è disteso supino, il grosso naso all’aria; le scarpe enormi fanno angolo retto col terreno. Ha le braccia incrociate sul petto, il cappello tondo a melone gli posa sul ventre. Sembra un fantoccio mostruoso” e “Quel fantoccio ha gli occhi di fuori dall’orbita, la lingua penzolante da un lato, tumefatta, violacea. Giobbe Tuama è stato strangolato!” Alla Fiera del libro sotto il bancone dello stand della Lega Evangelica Cristiana nella Milano del 1934, frequentato da una folla variegata tra cui spicca lo scrittorone di turno con la sua bella stilografica d’oro. Ma chi era più precisamente questo Giobbe Tuama? Sembrerebbe solo un seguace fanatico della citata lega evangelica addetto a vendere bibbie. In realtà trattasi di Jeremiah Shanahan, così viene chiamato da chi lo conosce meglio ed è venuto a trovarlo per regolare certi conti del passato, un americano che vive da molto tempo in Italia ed è pure un malvagio usuraio. Poco dopo un altro straniero verrà ucciso con uno spillone conficcato nel cuore all’Hotel d’Inghilterra.
Bella gatta da pelare per il commissario Carlo De Vincenzi, un personaggio che non ha bisogno di prendere appunti perché possiede “il dono d’incasellare indelebilmente nel cervello le osservazioni che faceva” e il fiuto sensibile di interpretare le atmosfere e le psicologie di chi gli sta di fronte. Un uomo solitario e scettico, come è stato giustamente definito, nella Milano nebbiosa degli anni Trenta che basa essenzialmente il suo lavoro attraverso il colloquio e l’ascolto. E’ bravo, davvero, ma, secondo lui, ci vuole anche lo zampino del “Caso” per risolvere certe situazioni.
Intanto Giobbe Tuama non era così povero come sembrava e nel suo passato era stato coinvolto in una storia di diamanti rubati ed era finito, addirittura, nelle carceri di Sing Sing. Siamo di fronte ad un gruppo di personaggi stranieri che covano odio e vendetta, tra cui la stessa moglie di Giobbe, la signora Dorotea Shanahan. Personaggi stranieri in ossequio alle disposizioni del regime fascista perché il “giallo”, che portava disordine e confusione nella società, era mal tollerato. Tra i vari indizi occhio ad un cappello di paglia col nastro bianco e azzurro, gli occhiali e la barba finta.
La scrittura di Augusto De Angelis è semplice, diretta, precisa. Niente fronzoli, niente infiorettamenti, niente sviolinature. Un paio di tocchi alla Simenon ed il gioco è fatto. Il piatto è servito. Il libro mi ha offerto anche il destro di rivedere la storia dello scrittore, ucciso da un repubblichino, attraverso la bella lettura di Un secolo in giallo di Maurizio Pistelli, Donzelli 2006.
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