L’idea di scrivere gialli mi solleticava da parecchio. In realtà ho cominciato seriamente a considerarla intorno alla metà degli anni 2000. Già da parecchio però ero appassionato di due formule narrative tipicamente italiane in questo filone che non ha (o non si pensa che abbia) una declinazione nostrana. Per dirla tutta, come anche dicevo in una introduzione al volume antologico del Giallo Mondadori Il mio vizio è una stanza chiusa (2009), ritengo che la radice del giallo italiano (non il nero che è cosa differente) abbia una radice più cinematografica e televisiva che letteraria.
Per inciso di gialli in Italia se ne è sempre scritti ma pochi hanno avuto la forza di attirare un grande pubblico, appassionandolo e perché no? spaventandolo. Al cinema invece siamo stati maestri. Il genere che si chiamava Italian Giallo che ha radici negli anni ’60 (La ragazza che sapeva troppo) e ha raggiunto una sua piena maturità con Dario Argento ma anche con i lavori di tanti bravi artigiani del cinema, da Sergio Martino a Umberto Lenzi ad Aldo Lado solo per citare quelli che ho conosciuto di persona (ciao Aldo!) ha fatto scuola nel mondo.
Da anni ne ero un cultore e con la diffusione di VHS e DVD ne sono diventato anche raccoglitore. E insieme a quei film ho recuperato anche una serie di sceneggiati italiani degli anni ’70, che è più o meno lo stesso periodo dei film argentiani ma, considerando che era un prodotto TV, si trattava di storie dove la suspense aveva la meglio sul sangue. Tutte cose interessantissime e molto "italiane".
Se per esempio guardo gli sceneggiati che il mio amico Biagio Proietti riscriveva dai teleplay di Durbridge, non posso fare a meno di notare una vena creativa italiana che ci fa solo onore. Con quegli spettacoli ero cresciuto e, anche se fino ad allora mi ero orientato verso l’avventura, sentivo una pulsione a cimentarmi in quel campo. Mi rincresce dirlo ma l’editore che avevo ai tempi per la libreria rifiutò tutti i progetti, compreso Gangland (e poi abbiamo visto come è andata), e anche questo non lo volle neanche leggere dicendo… che ero in grado di parlare delle nuove tecniche di combattimento ma una storia di suspense non avevo le capacità di raccontarla. Ok, volevano farmi fuori e colpivano dove faceva male. Io però incassavo bene.
Continuai a nutrirmi di tutte le storie che potevo con l’idea che qualcosa poi sarebbe germinato. Il palazzo dalle cinque porte è stato concepito intorno al 2007 come prima ipotesi. Poi l’ho effettivamente scritto nel 2008 e l’ho tenuto lì per diverso tempo perché non riuscivo a farmi leggere da nessuno. Per prima cosa avevo stabilito una regola. L’eroe sarebbe stato diverso dal Professionista. E di certo non un commissario. Volevo un personaggio carismatico, affascinante che piacesse al pubblico del Giallo che, per esperienza, so prevalentemente femminile. L’immagine la costruii su un eroe dei fumetti francesi che leggevo in quegli anni, ma era una immagine iconica. Alto, distinto con una mosca di barba. Un uomo colto e raffinato, non un legionario. Decisi che non avrebbe sparato mai neanche un colpo.
Fisicamente Bas Salieri non è un inetto. Ha alle spalle un passato che intuiamo d’azione anche se non sapremo mai veramente cosa ha fatto in Medioriente. Pratica Taiji che è un’arte marziale interna, elegante che lo mette in condizioni di difendersi ma non e fa un "muscolare" semplice. Studia l’occulto, è un uomo di spettacolo, ha gusti raffinati in fatto di musica e di molte altre cose. È un seduttore? Ma certo, anche se con moderazione. Stabilito questo non sapevo se avrei scritto una serie o un singolo episodio. Volevo però che il mio protagonista si muovesse in uno scenario italiano (anche se con L’amante di pietra viaggiamo un po’ per l’Europa partendo da Amsterdam, che è la città di Bas, sino a Praga e a Berlino, anche se si torna a Torino e al Lago Maggiore per il finale.)
Naturalmente c’erano influenze letterarie che nel tempo sono cambiate e hanno portato a una evoluzione delle storie. Per prima cosa volevo incamminarmi per il sentiero percorso da John Dickson Carr, autore che alimentò le mie fantasie da ragazzo. Storie in cui il gotico e il sovrannaturale la facevano da padroni suggerendo che dietro il delitto ci potesse essere qualcosa di “altro”. Invece poi si svelava che il crimine è commesso sempre da esseri umani con mezzi umani. Questa credo sia un po’ la linea direttiva della serie. Ogni volta devo trovare uno spunto di questo tipo senza ripetermi. Poi mi piaceva l’idea di una Italia antica, con i suoi tesori architettonici, le sue leggende, vere o inventate che fossero. Siamo sempre in un romanzo e anche partendo da dati reali è concessa una misura di fantasia. E poi l’elemento architettonico era fondamentale. C’è nella maggior parte dei titoli (Il palazzo, La torre, l’idea stessa dell’Amante di pietra che poi è una statua.
Nei racconti i titoli variano un po’ ma il concetto resta. In Una notte tra le ombre si tratta di una vecchia casa, nel Bruto è l’intera valle a fare da scenario così come nella Fonte dei 12 monaci c’è un rimando architettonico e, naturalmente anche nel Fauno di cenere c’è un riferimento al MAN di Napoli. Avevo comunque gli elementi di partenza e cominciai a costruire una trama scegliendo Venezia come sfondo perché ci ero stato non molto tempo prima e mi sembrava decisamente un set interessante. Avevo già scritto un piccolo “thrilling” di ambientazione veneziana che poi fu pubblicato in Giallo 24, Donna con viso di Pantera. Era una storia breve ma ritengo ancora divertente per la tensione che nasceva proprio da quella Venezia nebbiosa, oscura che mi rimandava a Chi l’ha vista morire? e a Solamente nero che erano film che ho amato moltissimo e, assieme al Segno del comando, mi hanno suggerito se non la trama almeno le atmosfere e il tono della vicenda. E così, vista la buona accoglienza della prima avventura, ne sono venute altre.
Non così ravvicinate come per il Professionista perché il mystery è un genere più difficile, almeno per me che con l’avvenuta ho grande dimestichezza. Devo avere un’idea e poi strutturarla bene. A proposito de L’amante di pietra, ho un piccolo aneddoto che magari può essere utile a chi vuol scrivere gialli. Iniziai con una bella idea che ancora mi piace e magari sfrutterò. Però per la fretta cominciai a scrivere prima di aver bene in mente gli ingranaggi. Risultato: dopo 80 pagine ero fermo. Ripresi l’anno successivo e ancora scrissi altre 50 pagine ma la storia non mi convinceva. Sarei riuscito a chiuderla con il mestiere ma non volevo arrivare a quella soluzione. Così mi dedicai ad altri progetti. Poi nell’estate del 2017 feci un viaggio ad Amsterdam. Leggevo altri romanzi e pensavo ad altre storie. E invece dopo una passeggiata sui canali la trama era lì. La fissai in mente e al mio ritorno a casa la scrissi per non dimenticarla. Avevo un Prof da finire. Poi mi misi al lavoro quando nella mia testa tutto era ben sedimentato. L’ho scritta in poco tempo e adesso è qui, in edicola e in eBook. Buon divertimento.
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