L’ombra cinese di Georges Simenon, Adelphi 2019.
Parigi. Novembre piovigginoso. “Un ufficio come tanti altri. Mobili chiari e carta da parati in tinta unita. E un uomo sui quarantacinque anni, seduto in una poltrona, con la testa reclinata sui fogli sparsi davanti a lui. Un proiettile lo aveva colpito in pieno petto.” Trattasi del signor Couchet, facoltoso industriale fattosi con le sue mani, trovato dalla portinaia dello stabile che ha chiamato Maigret. Dalla cassaforte mancano un sacco di soldi. Primo dubbio: il ladro è anche l’assassino?
Il morto si era separato dalla prima moglie che gli ha dato un figlio, e ora viveva insieme alla seconda tradendola con Nine, una bella ragazza che lavorava come ballerina al Moulin Bleu. Il primo obiettivo di Maigret è interrogare i vari abitanti dello stabile per scoprire qualcosa di più sulla vita del defunto (se, per esempio, avesse dei nemici). Ogni tanto, fissando i loro volti, qualche ricordo si affaccia alla sua mente, qualche disagio “quando si è costretti a prendere in considerazione certi aspetti della vita che di solito si preferisce ignorare.” Un palazzo “strano”, una atmosfera “opprimente” con una matta che urla e una che spia.
Dunque, per farla breve, tutto gira intorno a: la prima e la seconda moglie del morto, l’amante del morto, il figlio debosciato del morto, il secondo marito della prima moglie del morto, la vecchia pazza che urla, quella che spia, un uomo e una donna tra i bidoni della spazzatura alla ricerca di un guanto, un ambasciatore sussiegoso… e poi il classico testamento piuttosto “particolare” che mette sul chi vive il Nostro.
Solita capacità del grande Simenon di creare personaggi vivi con pochi tratti, di pennellare con tocchi d’artista gli ambienti del palazzo, chiusi, polverosi, privi di luce, di cattivo odore, addirittura sporchi, claustrofobici e rimbombanti di urla della matta con la pazzia che sembra strisciare lungo le pareti come simbolo premonitore. Abile anche a mettere in risalto la diversa condizione sociale, vedi i parenti del morto contadini e piccoli borghesi e quelli della moglie “eleganti e sobri”.
Al centro Couchet “un uomo sanguigno, energico e grossolano, venuto su dal nulla” che ce l’aveva fatta. Lasciato dalla prima moglie quando ancora non era ricco, sposa una ragazza di buona famiglia e così “Tè, pasticcini, tennis e scampagnate…” e se la spassa con altre donne come Nine. Tutte e tre con caratteristiche psicologiche diverse a creare il fascino inquietante del racconto e la continua tensione. Al centro pure Maigret, il solito acuto osservatore tra una fumata di pipa e l’altra, questa volta di poche parole tra cui il ritornello che si porta appresso ”Bel tipo, quel Couchet!”. Altro personaggio importante il Palazzo claustrofobico (già detto) ma anche la…la Finestra. Eh, sì, proprio la Finestra dalla quale si può intravedere un’ombra cinese. Come un occhio vivo, penetrante…e la Sorte, il Destino che se ne frega di tutto e di tutti.
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