La morte viene da lontano di Peter Lovesey, Paul Harding e Melville Davisson Post, Mondadori 2018.
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Un fantasma per Cribb di Peter Lovesey
Strani furti in casa della signorina Crush e in quella del dottor Probert nella Londra vittoriana. Ovvero un vaso di scarso valore di una collezione costituita da pezzi oltremodo pregiati e una tela, raffigurante una ninfa nuda, di un quadro nascosto sotto un tendaggio ignorato sia dalla moglie che dalla figlia. In entrambe le case si è esibito il giovane medium Peter Brand già popolare per una seduta spiritica in cui si sono manifestati dei fenomeni inspiegabili che hanno colpito i presenti. E, dunque, potrebbe essere il sospettato. Ad indagare sui furti il sergente Cribb assistito dall’agente Thackeray sotto il controllo dell’ispettore Jowett di Scotland Yard. Durante una successiva seduta in cui Brand deve materializzare uno spirito attraverso un particolare meccanismo, che comporta l’uso dell’energia elettrica da poco introdotta a Londra negli ambienti signorili, il medium morirà praticamente fulminato senza che se ne capisca il motivo.
Un bel mistero per il nostro Cribb. Anche perché le indagini rivelano che tutti i presenti evidenziano un motivo per avercela con il morto, persona assai diversa da quella che poteva sembrare. Così come i vari personaggi hanno qualcosa da nascondere e occultare, stante la maschera del perbenismo imperante in quel periodo storico. E, sempre del periodo vittoriano, sono di moda le sedute spiritiche e l’irrazionalità serpeggiante in una Londra dove grande è il divario tra povertà e ricchezza. Racconto ad andamento lento con accumulo di tensione, resa più leggera, come è già stato notato, da sprazzi di umorismo e dissacrazione.
Occhio ad un oggetto che non c’è e ci deve essere!
Fratello Athelstan: il regno del male di Paul Harding
“Anno del Signore 1380. A Hawkmere Manor sono imprigionati, in attesa di riscatto, gli ufficiali francesi catturati in battaglia dagli inglesi.” La loro esistenza un tormento, soprattutto per Guillame Serriem, capitano della nave da guerra francese Saint Sulpice, catturata al largo di Calais dal cavaliere bavarese Maurice Maltravers. Serriem sta morendo avvelenato mentre ripensa agli ultimi avvenimenti, per poi spirare in un sussulto. Morte importante la sua, carica di inaspettate complicazioni con la Francia che ha siglato una tregua. Occorre smascherare al più presto l’assassino, occorre, cioè, l’intervento del fratello domenicano Athelstan che deve risolvere il classico delitto in una stanza chiusa dall’interno con una sola finestrella stretta. I dubbi e gli assilli non mancano: c’è un traditore tra i francesi? (però hanno cenato insieme sorvegliati dalle guardi, chiacchierato e giocato a scacchi); l’assassino è uno libero di andare e venire dal castello a suo piacimento?; oppure si tratta di un certo sir Walter a cui sono stati uccisi dai francesi la moglie e il figlio?…
Ma i problemi non finiscono qui. Altri morti arriveranno a complicare il quadro, insieme a ombre, inquietudine, pericoli, scontri, colpi di scena e ad un classico amore contrastato (come finirà?). E poi c’è il problema del veleno, di un veleno del tutto sconosciuto che agisce in maniera subdola…
La vicenda si svolge nella Londra fine Trecento con tutte le caratteristiche del suo tempo. Qualche spunto: per le strade scommettitori di ogni tipo sulla lotta tra animali, orso cieco che danza, malfattori ammanettati, carro di letame che si rovescia, improvviso corteo funebre, gruppo di prostitute con la testa rasata e le parrucche rosse, cani, gatti, maiali, galline dappertutto… Poi ci sono i Joyer che credono ad una seconda venuta di Cristo e i contadini tartassati pronti alla rivolta. Il tutto in netto, vistoso contrasto con l‘opulenza dei ricchi e delle loro abitazioni. Una storia complessa dentro un quadro sociale denso e avvincente, con passaggi oculati da un personaggio all’altro a mantenere viva la tensione narrativa.
La vigna di Nabot di Melville Davisson Post
Virginia ottocentesca. “Elihu Marsh era stato ucciso in casa con un colpo d’arma da fuoco. Era stato trovato disteso sul pavimento, con un buco nel corpo in cui si poteva infilare un pollice.” Accusato il garzone Taylor perché scomparso e ritrovato con un fucile scarico. Durante il processo, presieduto dal giudice Simon Kilrail, avviene un fatto imprevisto. Ovvero la ragazza “che cucinava per Marsh e gli teneva in ordine la casa” e che ora siede tra i testimoni, scoppia in un pianto isterico “urlando una serie di smentite.” Taylor è innocente, la ragazza colpevole. Troppo semplice… Sarà lo zio Abner (chi racconta la storia è il nipote) con incredibile intuito e acuta osservazione a scoprire la verità attraverso tre indizi. Il racconto, tra l’altro, costituisce anche un mirabile esempio di sovranità del popolo nella repubblica americana.
Dalla bella Introduzione di Mauro Boncompagni “Forse sembrerà esagerato dire che il futuro del giallo sta nel passato, ma è ormai da un pezzo che il period novel si è imposto come una delle tendenze creative del mystery e più seguite dal pubblico, non solo qui da noi…”
E in questo libro troviamo, come abbiamo visto, tre splendidi esempi perfettamente ambientati nella Londra vittoriana, alla fine del XIV secolo e nella Virginia ottocentesca.
Buona lettura.
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