Come non dare un caloroso benvenuto al volume La crime fiction di Stefano Calabrese e Roberto Rossi (Carocci 2018)? Un altro tassello importante va infatti ad aggiungersi al panorama ricco e diversificato degli articoli e dei libri che da anni, siano scientifici siano divulgativi, vanno sistematicamente sdoganando il genere giallo-noir dalla serie B a cui il nostro paese lo aveva ignobilmente destinato fin dall’era fascista. Del resto, che il genere sia vivo e pulsante lo vediamo bene nel mercato editoriale e nei corsi accademici, nei festival e nella critica.
L’operazione è quantomai ambiziosa: rinchiudere la storia della crime fiction dalle origini a oggi, a livello planetario, e sfiorando anche pittura, fotografia, cinema e serie tv, in 140 pagine. E devo proprio dire che gli autori hanno fatto un egregio lavoro. Anche la bibliografia è di tutto rispetto, sebbene mi senta di confessare che, uscendo questo volume in Italia, non mi sarebbe dispiaciuto almeno un accenno a quello che i nostri studiosi stanno scrivendo e facendo da anni, a iniziare dall’associazione Uno Studio in Holmes e dalla rivista Sherlock Magazine che ospita questa mia recensione, fino all’Accademia Italiana di Scienze Forensi che, credo unica al mondo, ha avuto il coraggio di includere nel suo sito web e nelle sue attività convegnistiche una sezione sulla “letteratura criminale”. E ovviamente mi sarebbe anche piaciuto che relativamente al noir fosse citato Arcobaleno noir: genesi, diaspora e nuove cittadinanze del noir fra cinema e letteratura (Galaad 2014), non perché lo abbia curato la sottoscritta, ma per il carattere veramente innovativo dei saggi che lo compongono. Sono felice, invece, che sia stato super-citato l’amico Stephen Knight, che non ringrazierò mai abbastanza per il co-editing di His Everlasting Bow, un libro collettivo dedicato a Sherlock Holmes (Aras 2017) che pochi conoscono.
Il volume, prevedibilmente e giustamente, percorre la storia canonica del genere: da Moll Flanders a Poe, da Poe a Sherlock Holmes, da Sherlock Holmes ad Agatha Christie, fino ad arrivare all’hard-boiled, a Patricia Highsmith, a Montalbano. Con qualche mancanza (ad esempio, non mi pare sia citato Wilkie Collins, ma potrei sbagliarmi: l’ho divorato). Il tutto condito dalle ricette del successo – le abilità del detective, la serializzazione, la modernità, il mind reading, l’applicazione delle teorie sul doppio – fino a includere temi razziali, lo psichothriller, la realtà aumentata. Qualcosa in più forse si sarebbe potuto dire su come siano cambiati nel tempo la percezione della scena del crimine, il metodo scientifico e i rapporti tra fiction e forensics, almeno per spiegare perché mai da un certo momento in poi si sia abbandonato il termine detective fiction per l’attuale crime fiction. Ma questo, forse, sarà un altro libro.
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