Se c’è un libro che può consegnare la mitologia a cui attinge la fantasia di James Ellroy questo è I miei luoghi oscuri; il libro esce nel 1996, in Italia viene tradotto nel 1997, Bompiani lo ripubblica con una nuova veste quest’anno (2016).
Famoso per i romanzi L.A. Confidential e La Dalia nera, Ellroy è uno dei più noti e apprezzati autori di crime story.
In una sua recente intervista si legge questa dichiarazione: «Sono il più grande autore americano di romanzi polizieschi», affermazione discutibile, ma dopo la morte di Robert Parker e di Joe Gores, non è priva di fondamenta. In un’altra ancora si trova questa definizione di sé stesso: «la mia qualità migliore è riuscire a trasformare la merda in oro», questa è sicuramente vera e rispecchia fedelmente la storia personale e letteraria di Ellroy.
Figlio unico vive dolorosamente la separazione dei genitori, affidato alla madre, una giovane e bella infermiera poco più che quarantenne, se la vede uccidere un sabato sera a El Monte, località limitrofa di L.A., il caso rimarrà irrisolto.
Perdendo la madre perde anche l’unica occasione di avere una crescita e un’educazione più o meno regolare. Va a vivere con il padre, un inetto incapace di badare a sé stesso, igiene ed educazione sono un lontano ricordo; inoltre alimenta la sua sete di letture poliziesche, «Mio padre sosteneva la mia ossessione per il delitto»[1]. È lui a regalargli The Badge un romanzo di Jack Webb, scrittore ed ex poliziotto, in cui trova il resoconto dell’omicidio della Dalia nera del 1947.
Il libro lo fulmina, gli rimarranno dentro due fenomenologie del crimine; la vittima come la Dalia nera, e i poliziotti come il LAPD, Los Angeles Police Department, meglio noti come ragazzi in blu: «Il crimine mi elettrizzava e mi atterriva in misura più o meno uguale»[2].
I due romanzi più noti di Ellroy nascono da questa lunga decennale ossessione per la Dalia nera e per gli uomini in blu del LAPD.
Quando Ellroy ha quasi diciotto anni muore anche il padre, a quel punto la sua vita diviene una sorta di incubo tra alcol droghe e piccoli furti, dorme dove gli capita e viene più volte arrestato. Si prende una brutta polmonite che rischia di ucciderlo, contemporaneamente ha una sorta di crisi o blocco nervoso:
«A quel punto il mio cervello si piantò. Non riuscivo a identificare il mio ultimo pensiero, né a visualizzarlo, né a trovare parole per esprimerlo […] Non riuscivo a pronunciare il mio nome: Non riuscivo a pensare al mio nome. La mia mente era morta»[3].
Il medico dell’ospedale che gli cura la polmonite gli dice che è stata una ‘sindrome cerebrale post alcool’. Ha paura di impazzire e si decide ad iscriversi a un corso di sostegno per alcolisti, poco dopo riesce a trovare lavoro come caddy all’Hillcrest, un prestigioso circolo di golf di Los Angeles; il ragazzo scostante e problematico, alcolizzato e ladruncolo, sta lasciando il posto allo scrittore con una volontà di emergere tale che è capace di passare sopra al proprio dolore, non si crea problemi ad usarlo come pubblicità per i suoi libri.
La seconda moglie, non a caso, lo chiama ‘proiettile dotato di solo futuro’, è un uomo senza nostalgia, ha tre ossessioni che si alimentano tra di loro, la madre, la Dalia nera e la donna che verrà nel suo futuro. Sono queste ossessioni che danno voce alle sue narrazioni fino a L.A. Quartet, la quadrilogia di Los Angeles: Dalia Nera, Il grande nulla, L.A. Confidential, White Jazz.
Se andiamo a leggere la prima opera di uno scrittore prolifico e affermato, può lasciarci la sensazione di aver violato un’intimità domestica, il cassetto dei ricordi riposti o una foto sbiadita. Rileggendo oggi Brown’s Requiem è esattamente questo l’effetto che vi troviamo, una sinopia del futuro scrittore Ellroy; ci troviamo a L.A. con la sua corruzione, con un detective alcolizzato che ascolta musica classica, la vita dei caddy e le loro esperienze, ci ritroviamo in compagnia del ragazzo alcolizzato e ladruncolo che sta per diventare scrittore.
«Mentre seguivo i soci del club mi inventavo storie che avevano come protagonisti loro e la feccia dei caddy […] Giocavo con il cast di personaggi dell’Hillcrest e gli coniavo intorno un poliziesco. Ci aggiunsi un eroe alcolizzato. Proveniva dalla zona triste di Hancock Park. Nutriva un’ossessione perenne per il caso della Dalia nera. Ci aggiunsi l’incendio del club Mecca e la musica classica. Ci aggiunsi il delirium tremens. Il mio eroe voleva trovare una donna e amarla sino alla morte»[4].
Il primo libro di James Ellroy che ho letto è proprio Brown’s Requiem (Prega detective), casualmente è anche il primo libro scritto da Ellroy. C’è già tutto il futuro Ellroy, con il plot molto intricato, un tasso di violenza e corruzione molto alto, e naturalmente la città degli angeli.
Un investigatore privato Fritz Brown, vive a Los Angeles e si guadagna da vivere recuperando auto a debitori in ritardo con le rate. Maniaco di musica classica (Beethoven su tutti), è un ex poliziotto, Brown viene ingaggiato da Fat Dog Baker per tenere sotto controllo la sorella Jane e il suo benefattore Sol Kupferman, un ricco uomo d’affari molto più vecchio di lei. Durante il pedinamento, Brown riconosce in Sol un personaggio che aveva notato anni prima in un locale, il Club Utopia, alcuni giorni prima che questo subisse un incendio doloso che aveva causato sei vittime.
Il detective allora decide di cercare Fat Dog, che nel frattempo è scomparso, per sapere quale sia il vero rapporto tra i due. La ricerca porta Brown in Messico, dove trova il cadavere di Fat Dog, che è stato brutalmente ucciso. Con l’aiuto di Omar Gonzales, un benzinaio il cui fratello era morto nell'incendio dell'Utopia, Brown riesce a scoprire che Fat Dog era in affari con Richard Ralston per una truffa legata agli assegni dell'assistenza sociale. Ralston ha ucciso Fat Dog, ma non è riuscito a recuperare l’agenda dove quest'ultimo teneva la registrazione di tutti i movimenti illeciti.
Brown trova l’agenda nascosta in un campo da golf, e vi legge, oltre alle informazioni sui movimenti, anche alcuni ritagli di giornale che rivelano che Fat Dog, oltre quello dell'Utopia, è colpevole di numerosi incendi dolosi.
Due di questi sono stati perpetrati a danno di famiglie a cui lui e la sorella erano stati affidati in quanto orfani. È Kupferman il loro vero padre, mentre la madre era una donna dell'alta società a cui non era consentito di sposarlo in quanto ebreo.
Rileggerlo oggi significa metterlo nella prospettiva dei libri che sarebbero venuti dopo, averlo letto senza questa conoscenza mi aveva lasciato con un senso di forte novità narrativa, una padronanza dell’azione drammatica con un’eccessiva complessità di trama. Che ci fosse qualità era fuor di dubbio.
Nel romanzo[5] I miei luoghi oscuri, ricostruisce il contesto che ha portato all’omicidio della madre nel 1958, ci consegna il resoconto delle indagini (e le immagini) realmente condotte dall’ufficio dello Sceriffo di Los Angeles, sono gli uomini del LASD.
Ellroy spiega bene come sono gestite le giurisdizioni delle forze dell’ordine a Los Angeles. Alla fine dell’Ottocento c’era solo l’ufficio dello Sceriffo che poi crescendo e modernizzandosi è divenuto il LASO, Los Angeles Sheriff’s Office, poi ufficializzato come LASD Los Angeles Sheriff’s Department. Dagli anni trenta è comandato da Gene Biscaliuz che propone una retorica da far west, ripristina le posse (le vigilanze), consapevole che il lavoro del poliziotto isola, ne ha fatto una mito utopico a immagine del vecchio west.
Al contrario il LAPD è comandato da William Parker e la sua è una politica da stato di assedio, non ci sono retoriche né scrupoli, la violenza e la corruzione sono armi lecite anche tra le forze dell’ordine, i ragazzi in blu non fanno sconti, se un sospettato non parla può aspettarti una ripassata con l’elenco del telefono.
«Biscaliuz e Parker regnavano su regni paralleli […] Il mito di Gene Biscaliuz era strettamente locale. Quello di Bill Parker veniva smerciato a livello nazionale. Gli uomini dello sceriffo (LASD) soffrivano per la popolarità di quelli del LAPD. Quelli del LAPD consideravano sbirri di serie B quelli dello sceriffo, e si attribuivano il merito delle operazioni congiunte»[6].
Ad occuparsi del delitto di Jane Ellroy, il cui vero nome è Geneva Hilliker, la madre di James, sono i detective dell’ufficio dello sceriffo (LASD) e non il LAPD, lo scrittore non lo dice ma emerge il pensiero che se fossero stati i ragazzi in blu l’omicida della madre lo avrebbero preso, in un modo o nell’altro:
«Probabilmente Biscaliuz aveva sempre saputo che i coloni bianchi violentavano le squaws; e che i rappresentanti della legge del selvaggio West erano psicopatici e ubriaconi. Avrebbe potuto ammettere che quel mito cui era tanto affezionato era solo una pia illusione. Probabilmente aveva sempre saputo che per le donne il selvaggio West era un inferno-allora come ora. Probabilmente aveva sempre saputo che i sabato notte del selvaggio West costituivano un mito a sé stante. Avrebbe potuto contare l’infermiera dai capelli rossi tra i caduti per il mito».
Tuttavia gli investigatori del LASO fecero un buon lavoro con il caso Ellroy, non trascurando alcuna pista, quasi quarant’anni dopo nel 1994 e ‘95, lo scrittore insieme a un detective in pensione ripercorrono il caso di omicidio partendo dalle indagine del 1958. Il nucleo e il motivo del libro è proprio questa nuova indagine. Che abbiano trovato o meno il colpevole lo lascio scoprire al lettore, di sicuro l’immagine che Ellroy aveva della madre cambia radicalmente, dal ricordo ricco di sfumature leggendarie e fantasiose, sovrapposto all’immagine della Dalia nera, approda ad un piano di realtà.
In definitiva sia Prega detective che I miei luoghi oscuri sono liberi-soglia: il primo è il romanzo che saluta la nascita del ‘giallista’, il passaggio dal ragazzo problematico dipendente da alcool e droga allo scrittore (il proiettile dotato di solo futuro); il secondo è il libro che ci racconta tutto quanto è successo prima dell’affermazione come ‘giallista’; tutto quanto è avvenuto al bambino e al ragazzo problematico a cui hanno ucciso la madre, omicidio sublimato e mitizzato nel caso ben più noto della Dalia nera.
I due libri si trovano uno al di là (Prega detective) e uno al di qua (I miei luoghi oscuri) di questa soglia immaginaria, questa potrebbe essere rappresentata dal momento in cui il ‘proiettile dotato di solo futuro’ lascia la canna della pistola che lo lancia. Prima c’era la claustrofobica condizione dell’essere stipato in un caricatore, poi solo la corsa verso il futuro fatto di romanzi polizieschi.
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