La trama è nota: un maniaco sta terrorizzando Berlino e le forze dell’ordine non sono in grado di fermarlo. Dopo l’omicidio dell’ennesima bambina, la popolazione cade in preda al panico e la polizia organizza numerose retate nei quartieri frequentati dalla malavita, creando ovviamente non pochi problemi alle grandi associazioni criminali della città, che alla fine si vedono costrette a unire le proprie forze per fermare questo misterioso assassino… Il film venne subito
considerato come uno dei capolavori del famoso regista austriaco Fritz Lang e costituì uno dei prototipi del filone noir che si sarebbe sviluppato in America negli anni Quaranta, eppure in Italia non riuscì a ottenere il visto della censura né negli anni Trenta né nel primo dopoguerra: infatti fece la sua comparsa nei cinema italiani con quasi trent’anni di ritardo, solo nel 1960! E tutto questo nonostante il fatto che Lang stesso avesse eliminato dal film ogni scena di violenza o di morte di bambini, scelta estremamente raffinata ed efficace, poiché, come il regista avrebbe in seguito affermato, il fatto che gli atti del killer fossero soltanto suggeriti costringeva lo spettatore a immaginare quanto stesse veramente accadendo. Strategia che avrebbe reso ancora più angosciante la vicenda e tenuto il pubblico letteralmente incollato allo schermo.
Altro elemento di fondamentale importanza è il sonoro: si tratta infatti del primo film di Lang ad avvalersi di quest’innovazione.
Ciò che fece di M un capolavoro fu proprio l’uso magistrale del suono, che viene utilizzato come efficace complemento per le immagini e le metafore visive che già avevano reso grande il cinema muto. Tutto il film è un complesso lavoro di equilibri fra suono e immagine. Da un lato una frase o anche solo un suono possono introdurre nuove scene o addirittura anticipare il corso degli eventi, come nel momento in cui uno strillone grida il titolo di un articolo di giornale “Chi è l’assassino?” e al contempo la telecamera si sposta per inquadrare l’omicida dietro a una finestra. Dall’altro lato è ancora presente la simbologia visiva che aveva caratterizzato i precedenti film di Lang. Esempi di tale tecnica sono le note scene in cui il volto dell’assassino si specchia in una vetrina, circondato da una cornice di coltelli esposti, o quella in cui un palloncino rimane impigliato fra i fili del telegrafo, rappresentando un implicito riferimento all’anima della bambina appena uccisa.
M inoltre fu uno dei primi film a sfruttare la tecnica del leitmotiv, che consiste nell’associare un tema musicale a un determinato personaggio. L’assassino infatti fischietta sempre il famoso tema de Nell’antro del re della montagna tratto dalla suite Peer Gynt di Edvard Grieg e nel corso del film il solo udire questa musica costringe il pubblico a un’immediata associazione con il killer, che deve trovarsi per forza nei paraggi, nascosto alla vista della telecamera.
La cosa curiosa è che Peter Lorre, che interpretava appunto la parte dell’assassino, non sapeva fischiare, per cui il suono che gli spettatori sentono nel corso del film era in verità opera di Thea von Harbou, all’epoca moglie e collaboratrice di Lang.
Per quest’ultimo non fu cosa semplice ottenere il permesso di girare M: nel 1930 infatti affermò che avrebbe incentrato il suo prossimo film sulle vicende di un efferato assassino di bambini, suggerendo come potenziale titolo Mörder unter uns (L’assassino fra noi). La reazione non si fece attendere: subito Lang iniziò a ricevere lettere minatorie e soprattutto gli venne negato il permesso di girare il film, poiché sospettato dal partito nazista di essere una rappresentazione dei nazisti stessi e del loro operato. Solo dopo aver chiarito che la trama non avrebbe fatto alcun riferimento al Nazismo, Lang poté infine iniziare con le riprese (cambiando il titolo del film, considerato dai nazisti ancora troppo sospetto).
Alla fine il film fu girato in sei settimane e venne intitolato M – Eine Stadt sucht einen Mörder (Una città in cerca di un assassino), nel quale non vi è alcun riferimento al caso del mostro di Düsseldorf, come invece accade con alcune delle versioni straniere del film. Oltre all’Italia, infatti, anche Spagna e Brasile cambiarono il titolo originale in modo che la trama sembrasse ambientata a Düsseldorf. Il titolo spagnolo è appunto M – El vampiro de Düsseldorf e quello brasiliano M – O vampiro de Düsseldorf . Tuttavia Lang precisò più volte di non essersi ispirato esclusivamente al caso di Peter Kürten, il famoso killer che negli anni Venti terrorizzò la città di Düsseldorf, meritandosi gli appellativi di Vampiro o Mostro di Düsseldorf. Infatti, al tempo in cui Lang lavorava sulla trama di M, la Germania era scossa da numerosi casi di serial killer: Carl Großmann, Karl Denke e Fritz Haarmann, il cosiddetto macellaio o vampiro di Hannover, sono gli altri tre esempi più noti.
Per di più, per tutta la durata del film ricorrono chiare indicazioni del fatto che la storia si svolga a Berlino: vengono accennati nomi di luoghi, quale la famosa Alexanderplatz, appaiono titoli di giornali pubblicati a Berlino e nelle conversazioni si fa riferimento alle dimensioni della città, prova del fatto che non può che trattarsi della capitale tedesca.
Del resto la scelta di Berlino non è casuale: era la città ideale per rappresentare la Germania dell’epoca. Lang basava infatti i suoi lavori sull’idea per cui ogni film serio, anche se basato su un soggetto inventato, dovesse essere come un documentario per i contemporanei, uno specchio della reale situazione del periodo. Perché anche M potesse documentare in maniera veritiera i problemi della Germania dell’epoca, Lang decise che era suo dovere conoscere da vicino le reali condizioni di vita di un serial killer, per cui soggiornò in un ospedale psichiatrico e incontrò di persona diversi assassini di bambini, fra cui lo stesso Peter Kürten, finendo addirittura per usare veri criminali come comparse all’interno del film. Più reale di così…
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