Il mistero del rubino birmano di Enrico Vanzina, Newton Compton 2014.
Roma. Il detective Max, dopo una notte tra vodka e prostitute, scende dalla vecchia Porsche e via a casa. Niente riposo. “Devo vederla subito. Ho appena sparato a un uomo” bisbiglia una voce femminile al cellulare con leggero accento straniero. Luogo d’incontro una villetta dei Parioli (fascino con salite e salitelle). “Schianto di ragazza”, bionda e gambe lunghe da copione (salteranno sul letto insieme?). La suddetta contessa Tatiana Deminova ha sparato a un tizio spacciatore che le ha rovinato la vita, il colombiano Alejandro. Max deve ritrovarlo, intanto come anticipo si becca un “vero rubino birmano” che vale un sacco di soldi. E tutto ruota intorno a questo maledetto rubino che passerà di mano in mano provocando cadaveri forzati.
Dicevo di Max Mariani: ufficio che mette tristezza, da ragazzo tirava di boxe, assomiglia a sua madre, ex moglie Patrizia trovata a letto con un altro, qualche buona lettura (vedi Márquez e Dickens), la zia Elsa “unica donna della sua vita”, amico vicequestore Giuliani con il quale collabora in questa vicenda. Squarci di Roma, i Monti Parioli, Termini, Piazza delle Muse affollati di mezzi artisti, mezzi musicisti falliti, di nordafricani, cingalesi, cinesi, di una umanità variegata e cosmopolita in una città sempre meravigliosa.
Velocità di scrittura leggera, movimento, donne e vodka (anche birra), botte e pericolo con salvataggio (un classico), sussulto filosofico per “una vita piccola, ma proprio per questo meravigliosa”, ormai improponibile, meglio tornare a casa.Una specie di hard boiled de noantri (Max non è Philip Marlowe, citato), con un pizzico di spionaggio de noantri (citato Ian Fleming). Un divertimento per l’autore che ci infila pure gli scacchi (mio divertimento). Per il lettore staremo a vedere dalle vendite.
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