Come in risposta alle sue parole, si è levato all’improvviso dalla vasta desolazione della brughiera quello strano grido che avevo già udito ai bordi della grande Grimpen Mire. E’ venuto col vento attraverso il silenzio della notte, un lungo, profondo brontolio, poi un urlo crescente, e poi il triste lamento in cui è andato spegnendosi. Ha risuonato più volte, impregnando tutta l’aria circostante, stridente, selvaggio, e minaccioso. Il Baronetto mi ha afferrato la manicae il suo viso scintillava bianco nell’oscurità. - Mio Dio, cos’è stato, Watson?
- Non lo so. E’ un rumore che hanno qui sulla brughiera. L’ho udito già un’altra volta.
Si era spento, e un silenzio assoluto ci aveva avvolti. Eravamo immobili, con le orecchie tese, ma non abbiamo più sentito nulla.
- Watson – ha detto Sir Henry – era l’ululato di un cane.
Mi si è gelato il sangue nelle vene, perché c’era un fremito nella sua voce che testimoniava l’orrore improvviso che si era impadronito di lui.
- Come chiamano questo suono? – ha chiesto.
- Chi?
- La gente che abita qui intorno nella campagna.
- Oh, sono persone ignoranti. Che può importarle di come lo chiamano?
- Me lo dica, Watson. Cosa credono che sia?
Ho esitato, ma non potevo eludere la domanda.
- Sostengono che sia il latrato del Segugio dei Baskerville.
Il Baronetto ha emesso un gemito ed è rimasto in silenzio per qualche minuto.
- Di un cane lo era certamente – ha sussurrato infine. – Ma sembrava venire da miglia di distanza, da laggiù, direi.
- Era difficile capire da dove provenisse.
- Si alzava e si abbassava col vento. Quella non è la direzione della grande Grimpen Mire?
- Sì, esatto.
- Bè, era da quella parte. Andiamo, Watson, non crede anche lei che si trattasse del verso di un cane? Non sono un bambino. Non deve temere di dirmi la verità.
- Stapleton era con me sulla brughiera, quando l’ho sentito la prima volta. Ha detto che ppteva essere il richiamo di qualche strano uccello.
- No, no, era un cane. Mio Dio, può esserci qualche verità in tutte queste storie? E’ possibile che io mi trovi sul serio in pericolo per una ragione così oscura? Lei non crede che sia così, non è vero, Watson?
- No, no.
- E tuttavia, una cosa era riderci sopra a Londra, e un’altra cosa è trovarci qui nell’oscurità della brughiera e sentire un ululato come quello. E mio zio! C’era l’impronta del Segugio accanto al suo cadavere. Tutto quadra. Non credo di essere un codardo, Watson, ma quel suono mi ha raggelato il sangue. Tocchi la mia mano!
Era fredda come un pezzo di marmo.
- Domani starà di nuovo benissimo.
- Non credo che riuscirò a levarmi dalla mente quel latrato. Secondo lei, cosa dovremmo fare adesso?
- Torniamo indietro?
- No, diamine; siamo venuti fin qui per acciuffare il nostro uomo, e lo faremo. Noi sulle tracce dell’evaso, e, con ogni probabilità, un cane infernale sulle nostre. Su! Andremo fino in fondo, anche se tutti i diavoli dell’inferno dovessero essersi scatenati sulla brughiera.
Abbiamo ripreso ad avanzare a tentoni nell’oscurità, con le alture scoscese che incombevano nere tutt’intorno e il puntino di luce gialla che continuava a bruciare dritto davanti a noi. Nulla è più ingannevole della distanza di una luce in una notte nera come la pece; ora il tremolio sembrava lontano all’orizzonte, ora pareva essere a poche iarde da noi. Ma finalmente siamo riusciti a capire da dove proveniva, e ci siamo resi conto di trovarci ormai molto vicini. Una candela sgocciolante era conficcata in una fenditura delle rocce che la fiancheggiavano da ogni lato, così da essere riparata dal vento e anche invisibile tranne che in direzione di Baskerville Hall. Un masso di granito ci ha permesso di avvicinarci non visti, e vi ci siamo accovacciati dentro in modo tale che potevamo scorgere il segnale luminoso se alzavamo lo sguardo. Era strano vedere quella candela solitaria brillare là in mezzo alla brughiera, senza alcun segno di vita tutt’intorno – solo quell’unica fiamma gialla, diritta, e il riverbero delle rocce su ambo i lati.
- Che si fa adesso? – ha bisbigliato Sir Henry.
- Aspetti qui. Dev’essere vicino alla luce. Vediamo se riusciamo a dargli un’occhiata. – Non avevo quasi finito di pronunciare queste parole che l’abbiamo scorto entrambi. Al di sopra delle rocce nel cui crepaccio ardeva la candela, sporgeva una spaventosa faccia giallastra, una ripugnante faccia animalesca tutta sfregiata e segnata dalle più vili passioni. Sporca di fango, incorniciata da una barba ispida e da capelli arruffati, avrebbe potuto facilmente appartenere a uno di quei selvaggi che nei tempi antichi avevano abitato le tane scavate sui pendii delle colline. La luce della candela sotto di lui si rifletteva nei suoi occhietti astuti che scrutavano nel buio, da destra a sinistra, come quelli di una belva scaltra e feroce che abbia udito i passi dei cacciatori.
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