PROLOGO

Aveva consumato la sua vita in un vuoto inesistente, cose sempre ordinarie, scandite dal nulla, da inconsistenti appuntamenti. Anche il suo lavoro era inconsistente. Aveva fatto colazione da poco, come sempre una tazzina di caffè lungo, pane biscottato, marmellata, e torta di ribes: anche quella mattina avrebbe fatto le stesse cose, o quasi del giorno precedente, come quelle di due giorni prima.

Una scrivania, scartoffie dalla mattina alla sera, bolli da sistemare, contratti da preparare, firme da far apporre. Non ne poteva più. E così, aveva deciso di fare qualcosa. Aveva deciso di uccidere qualcuno. Ma in modo assolutamente straordinario. Il suo non sarebbe stato un ordinario delitto; no, sarebbe stato un colpo di genio, un delitto straordinario, che avrebbe surclassato le gesta di chiunque.

1

Quella stessa mattina Elisa Cerquetti scese dal letto, inforcò le pantofole e si avviò caracollando al bagno.

Non si sentiva bene, ma il dovere chiamava.

Si specchiò. Non sembrava avere i suoi trentacinque anni. La pelle era fresca, e non c’era traccia di invecchiamento o di rughe. Evitava come la morte le docce solari e gli abbronzanti perché avrebbero invecchiato la pelle, ed era anche nemica dei tatuaggi. Dopo essersi anche lavata i denti, si passò la lingua sulle labbra.

Un sottofondo musicale accompagnò la sua prima doccia della giornata, bollente e fredda. Poi, con un bell’accappatoio indosso ed i capelli annodati ad un asciugamano, si sedette sul bordo del letto e con cura si passò lo smalto sulle unghie delle dita delle mani. Preferiva essere al naturale, ma lo smalto sulle unghie ci voleva! Infine passò alla cura del volto.

Elisa aveva trentacinque anni, ma era una gran bella donna, se lo sentiva, come pure i commenti sottovoce, ammirati e anche piuttosto espliciti delle persone che l’attorniavano, non solo uomini, la facevano stare bene.

Aveva i capelli biondi, e gli occhi color del mare. Numerose efelidi rendevano la sua aria più sbarazzina.

Passò l’ultima volta il rossetto sulle labbra. Se le strofinò fra loro, e si contemplò soddisfatta allo specchio. Dicevano che la cosa più bella del suo volto fossero gli occhi e le labbra. Erano sensuali, dicevano i suoi amici: evocavano pensieri non proprio casti. Sorrise. Poi infilò un perizoma color nero, nero anche il reggiseno piuttosto scollato e infine le calze di seta autoreggenti, color “fumo di Londra”. Poi una camicetta color giallo paglia, un pullover color arancione ed una gonna nera. Infine delle scarpe nere col tacco a spillo.

Si diresse alla porta. Afferrò la borsa, vi cercò le chiavi della macchina. Tolse dall’attaccapanni la giacca. Aprì la porta, chiamò l’ascensore, poi chiuse la porta. Avrebbe fatto colazione in un bar. Quell’appuntamento di sabato mattina non ci voleva. Si avviò alla sua auto, una Ford Escort color azzurro. Fece manovra e si infilò nel traffico piuttosto modesto di Aosta in quel 13 dicembre 2003.