«Finalmente Sherlock Holmes» è l’entusiastico grido liberatorio di Ugo Buzzolan a pagina 7 de “La Stampa” di venerdì 25 ottobre 1968. «La vertenza con gli eredi di Conan Doyle si è risolta – spiega lo strillo, – da stasera va in onda il romanzo La valle della paura.» Gongolando, Buzzolan spiega che addirittura il giorno precedente la TV ha comunicato a tarda ora che è stato raggiunto con i molti eredi di Conan Doyle «un accordo completo e definitivo»: oggi sembra davvero incredibile che giornalismo e televisione pubblica si preoccupino con tanta passione del destino di uno sceneggiato televisivo!Tutto questo ha però una vittima: la commedia satirica La polizia del polacco Slawomir Mrozek, programmata per quel venerdì e quindi scalciata a pedate per far posto ad Holmes.

          

Con un titolo che sembra uscito dal pulp più classico, «Sherlock Holmes nel castello del delitto», Ugo Buzzolan inizia il 26 ottobre il bilancio del tanto agognato programma televisivo. «Tanto tuonò che piovve: dopo un gran parlare di questo Sherlock Holmes e averne annunciato il debutto e poi averne annunciato il rinvio a causa di beghe tra la RAI e la coorte di eredi, e dopo aver preso atto della sua sostituzione con il Teatro di Mrozek e del suo rinvio a chissà quando, e dopo, invece averne comunicato frettolosamente, all’ultima ora, l’inopinato esordio, ecco che finalmente possiamo con malcelata solennità registrare l’avvio dello sceneggiato La valle della paura, riduzione ad opera di Edoardo Anton dell’omonimo romanzo di Arthur Conan Doyle».

Lodi al citato Anton, che ha saputo togliere ciò che andava tolto, aggiungere ciò che era giusto aggiungere e creare alla fin fine una buona sceneggiatura televisiva. Un prodotto medio, è il giudizio: detta così non sembra proprio un complimento. «L’errore è stato, a nostro avviso, di non essersi buttati con sufficiente risolutezza sul giallo, sull’intrigo nero, sul romanzo del brivido e dell’orrore: si capisce che l’intenzione era più o meno questa, ma si doveva farlo senza mezzi termini, sfruttando la fotografia, le inquadrature, la musica, le pause. Viceversa si è rimasti a metà, c’è sì il giallo, però mischiato a toni da commedia salottiera dell’Ottocento».

Con l’aggiunta finale dell’ennesima annotazione al fatto che Gazzolo non ha il fisico da Holmes – personaggio alto e magro mentre l’attore è “pasciuto” – il primo giudizio non è troppo lusinghiero ma neanche una stroncatura.

La bilancia però comincia a pendere dopo la seconda puntata del 1° novembre. «Non ha convinto alla prima puntata e seguita a non convincere» esordisce Buzzolan il successivo 2 novembre. «In cosa è consistita questa seconda puntata? Sostanzialmente in un interminabile monologo di Sherlock Holmes che dall’alto della sua professorale perspicacia si diletta a stupire quel brav’uomo del dottor Watson che gli zampetta sempre al fianco come un cagnolino: una specie di lezione di indagine poliziesca senza brividi.»

La lentezza esasperante di Guglielmo Morandi, «inquadrature mediocri», l’assenza di tensione e di suspense, l’inadeguatezza di Gazzolo: insomma, i difetti stavolta sono tanti e preponderanti.

          

L’8 novembre va in onda la terza ed ultima puntata de La valle della paura, e in realtà la paura degli spettatori consiste nell’immaginare cosa dirà Buzzolan il giorno dopo su “La Stampa”! «Scarsi con brividi con Sherlock Holmes» si limita a titolare il quotidiano il successivo 9 novembre.

«Il fallimento totale è stato nella regia – è l’impietoso giudizio del giornalista. – Guglielmo Morandi è un veterano della TV, un uomo che ci sa fare, in genere. Qui no. Qui ha diretto senza partecipazione. Forse non gli piaceva Conan Doyle e meno ancora la sua creatura Sherlock Holmes: sta di fatto che per due puntate ha tirato avanti uno spettacolo stracco, grigio con inquadrature buttate giù come venivano: in questa terza ha avuto un paio di brevi sussulti anche perché il finale, con le sue sorprese, lo esigeva per amore o per forza: ma la suspense non c’era e del clima di angoscia e di orrore che era indispensabile per ravvivare le venerande invenzioni di Conan Doyle si avevano soltanto, di quando in quando, dei pallidi e svogliati accenni». Dopo altre critiche a praticamente ogni aspetto dello sceneggiato, Buzzolan si augurava che il successivo titolo, Il mastino dei Baskerville, sarebbe stato migliore.

Con il titolo modificato ne L’ultimo dei Baskerville, lo sceneggiato prosegue venerdì 15 novembre e stavolta a Buzzolan sembra piacere: «Finalmente una forte carica di suspense nel debutto del secondo romanzo: un castello solitario, una landa brumosa, un delitto, l’urlo agghiacciante di un mostro misterioso» è lo strillo del giorno dopo.