Un posto rosso per morire di John D. MacDonald, Mondadori 2013.
“Travis McGee non accetta mai casi troppo facili d’affari. Mezzo investigatore e mezzo avventuriero, vive a bordo di una barca e non ama lavorare. Perciò, quando è costretto a farlo per mancanza di soldi, che almeno ne valga la pena. Questa volta il cliente è Mona Yeoman, moglie di un ricco uomo d’affari. La donna ha una relazione con un professore squattrinato, e vuole che Travis la aiuti a recuperare la sua dote dalle grinfie del marito per andarsene a fare la bella vita con l’amante”.
Sogno spezzato da una pallottola che la stende ai piedi di Travis. Cadavere poi sparito (come in Uscendo di casa una mattina di George Bellairs, Polillo 2013, letto prima di questo e vedi un po’ le combinazioni) ma la polizia non gli crede e pensa che i due piccioncini siano volati via.
Crisi. McGee illuso di essere rientrato nella sua pelle, il bel fustone da spiaggia dagli occhi chiari e l’abbronzatissimo ribelle che non si lasciava irreggimentare da nessuno (però i soldi dal marito di Mona li prende e diventa addirittura, per un po’, vicesceriffo). Bisogna, comunque, darsi da fare, scoprire, indagare, con l’aiuto della stramba sorella del professore. E allora arriva il morto avvelenato, il movimento, lo scontro finale.
John D. MacDonald delinea contorni, coglie le sfumature, scende dentro ai personaggi, critica la società, in special modo la scuola con gli studenti come polli da allevamento e la cricca che comanda su tutti e su tutto (c’è però anche il positivo nell’avvocato integerrimo). Si perde un po’ nel finale secondo gusto lottiano (ma spero, invece, che piaccia ai lettori).
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