«Come il Le Queux s’era fatto una specialità degli agenti segreti e delle spie politiche, Wallace si è fatto una specialità dei ladri e degli omicidi, specialmente dei ladri di gran classe, e s’è ammaestrato in tutte le loro arti più sottili ed impavide, non esitando a stringere una certa amicizia con qualche illustre fuoruscito dal carcere». Continua il racconto del giornalista Aldo Sorani che, su “La Stampa” del 5 febbraio 1929, per la prima volta informa il pubblico “generalista” delle curiose voci che circondano Edgar Wallace. «Un critico ameno e scapigliato ha detto una volta che è veramente una fortuna che Edgar Wallace abbia tanto successo tra il pubblico e faccia tanto danaro coi suoi romanzi, perché, se Dio guardi, Wallace fosse costretto a cercar fama e denaro complottando e perpetrando qualcuno dei misfatti che immagina con tanta perizia, nessuna questura e nessun poliziotto del mondo riuscirebbero a tenergli testa. Questo dimostra in qual conto sia tenuta, anche da chi non fa parte del grosso pubblico, l’erudizione di Edgar Wallace in fatto di delinquenti e di delinquenza».
L’autore di Greenwich torna questa settimana su SherlockMagazine con un romanzo da poco ristampato in digitale con il numero 176 della collana digitale “Zeroquarantanove” della Newton Compton: L’uomo che sapeva.
Apparso originariamente a puntate su “The Popular Magazine”, a partire dal 7 gennaio 1918, The Man Who Knew è stato raccolto in volume dalla casa editrice londinese George Newnes Ltd. nel 1919.
Il romanzo ci mette un decennio ad arrivare in Italia, ma nel 1930 ha l’onore di inaugurare la collana “Romanzi polizieschi e d’avventure” di Alberto Tedeschi, con il titolo di L’uomo che sapeva e la traduzione di A.R. Ferrarin. Sarà proprio Tedeschi a ritradurre nel ’35 il romanzo e a presentarlo nel numero 32 dei “Gialli Economici” Mondadori. Bisognerà attendere più cinquant’anni per ritrovare il romanzo: sbuca infatti nel luglio 1987 dal n. 26 de “Il Giallo Classico”, e poi nel 1993 nel n. 63 de “Biblioteca Classica del Romanzo Giallo”, entrambe della Garden Editoriale.
Nel passaggio alla Newton Compton del catalogo Garden, il romanzo riappare nel n. 97 de “Il Giallo Economico Classico” (1996), di cui non sembra possibile stabilire il traduttore. Neanche quando nel 2011 il romanzo di Wallace è stato inserito nei “Grandi Gialli Rusconi” è stato possibile conoscere il nome del traduttore, che rimane a tutt’oggi sconosciuto.
Con una traduzione che risale al 1930 - quindi plausibilmente quella di A.R. Ferrarin, l’unico che ne abbia mai firmata una - ecco il primo capitolo de L’uomo che sapeva, edizione digitale della Newton Compton.
http://www.newtoncompton.com/ebook/1191/l%27uomo-che-sapeva
La stanza era piccola ed era stata prescelta perché isolata rispetto alle altre stanze della casa. Il penultimo proprietario di Weald Lodge ne aveva fatto la sua sala da biliardo, ma John Minute, che non aveva il tempo e la pazienza che occorrono per dedicarsi al biliardo, aveva allestito quell’ambiente malinconico per il suo assistente.
Lungo una delle pareti stava un ripiano d’abete, ingombro di storte e di provette. Nel centro della stanza c’era un tavolo su cui si trovavano dei volumi, un microscopio protetto da una campana di vetro, una cassettina di legno che era aperta per mostrare una serie di apparecchi scientifici delicati e un becco di Bunsen che spandeva la sua fiamma azzurrognola sotto una storta piena fino a metà di un liquido scuro e gorgogliante.
La faccia dell’uomo che, seduto davanti al tavolo sorvegliava la preparazione di quello sgradevole intruglio, era nascosta dietro una maschera di mica e di gomma, perché le esalazioni che uscivano da quel fluido non erano né gradevoli né salubri.
La stanza era avvolta in un’oscurità interrotta soltanto dalla luce fioca della lampada velata e dal riflesso azzurro della fiamma sotto al becco di Bunsen. Lo studioso, di tanto in tanto, prendeva una pipetta di vetro, la immergeva nel liquido bollente, la rialzava e la faceva sgocciolare lentamente su una cartina al tornasole. Alla fine i risultati gli parvero soddisfacenti, perciò spense il becco, aprì la finestra e accese il ventilatore per cambiare l’aria della stanza.
Poi si tolse la maschera rivelando un aspetto giovane, un volto piacevole, un poco pallido, con dei grossi baffi neri e una folta capigliatura nera e crespa. Chiuse la finestra, riempì la pipa, e cominciò a scrivere su un quaderno, fermandosi di quando in quando per consultare qualcuno dei volumi che gli stavano davanti.
In mezz’ora finì questo lavoro, chiuse il quaderno pieno di ghirigori e spingendo indietro la sedia si mise a fantasticare. I suoi pensieri, a giudicare dall’espressione del volto, non dovevano essere piacevoli. Prese dalla tasca interna della giacca un astuccio di cuoio dal quale estrasse una fotografia che rappresentava una fanciulla di sedici anni, dal viso assai grazioso, un po’ triste, ma per questo ancora più attraente, la guardò a lungo, scuotendo la testa come per allontanare da sé un brutto pensiero.
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