–  Allora mi faccia conoscere quelli privati. – Si appoggiò allo schienale, unì fra loro le punte delle dita, e assunse la sua espressione più impassibile e imparziale.

–  Così facendo, – riprese il Dottor Mortimer, il quale aveva iniziato a mostrare i segni di una forte emozione – la metterò a parte di circostanze che non ho confidato a nessuno. Il motivo per cui mi sono trattenuto dal farlo nel corso dell’inchiesta del coroner è che un uomo di scienza rifugge dal porsi in una posizione pubblica tale da dar l’impressione di alimentare una superstizione popolare. Avevo un ulteriore motivo, ossia che Baskerville Hall, come sottolineano i giornali, rimarrebbe di certo disabitata se si facesse un benché minimo passo per peggiorare la sua reputazione già abbastanza sinistra. Per ambedue le ragioni pensai di essere giustificato a rivelare meno di quanto sapessi, giacché non ne sarebbe risultato alcunché di buono, ma con lei non c’è motivo di non essere perfettamente franco.

“La brughiera è poco densamente abitata, e quelli che vivono vicini trascorrono molto tempo insieme. Per questa ragione vedevo spesso Sir Charles Baskerville. A eccezione di mister Frankland, di Lafter Hall, e di mister Stapleton, il naturalista, non vi sono altri uomini istruiti nel giro di parecchie miglia. Sir Charles Baskerville conduceva vita ritirata, ma l’occasione della sua malattia ci fece avvicinare, e la comunanza di interessi scientifici saldò il vincolo. Lui aveva portato con sé molte informazioni scientifiche dal Sud Africa, e trascorremmo più di una bella serata a discutere l’anatomia comparata dei boscimani e degli ottentotti.

“Nel corso degli ultimi mesi mi apparve sempre più evidente che il sistema nervoso di Sir Charles era affaticato e prossimo al tracollo. Aveva preso troppo sul serio la leggenda che vi ho letto – tanto che, sebbene passeggiasse nelle sue proprietà, nulla lo avrebbe persuaso a uscire di notte nella brughiera. Per quanto possa sembrarle incredibile, Mister Holmes, lui era fermamente convinto che un fato orribile incombesse sulla sua famiglia, e di certo i decessi dei suoi antenati non erano incoraggianti. L’idea di una qualche presenza malefica lo ossessionava senza posa, e in più di una circostanza mi chiese se, nel giro delle mie visite serali, avessi mai scorto una strana creatura, o udito il latrato di un cane. Questa seconda domanda mi fu posta molte volte, e sempre con vice vibrante d’eccitazione.

“Ricordo perfettamente una sera in cui andai a trovarlo, circa tre settimane prima dell’evento fatale. Capitò che si trovasse presso il portone d’ingresso. Io ero sceso dal mio calessino e stavo in piedi di fronte a lui, allorché vidi che i suoi occhi fissavano qualche punto dietro di me, oltre la mia spalla, con un’espressione di estremo orrore. Mi girai di scatto ed ebbi appena il tempo di scorgere qualcosa che mi parve un grosso vitello nero che stava attraversando l’altro capo del viale. Lui era così agitato e allarmato che fui costretto a raggiungere il punto in cui avevo visto l’animale e a cercarlo tutt’intorno. Quello però se n’era andato, e l’incidente parve lasciare una profonda impressione sulla sua mente. Rimasi con lui tutta la sera, e fu in quell’occasione che, allo scopo di spiegare l’emozione che aveva tradito, Sir Charles affidò alla mia custodia la narrazione che vi ho letto appena arrivato. Le riferisco questo trascurabile episodio perché assume una certa importanza in vista della tragedia che seguì, ma a quel tempo ero convinto che si trattasse di una faccenda assolutamente banale e che l’angoscia del mio amico fosse ingiustificata.

“Fu dietro mio suggerimento che Sir Charles si stava apprestando a recarsi a Londra. Sapevo che soffriva di cuore, e il costante stato d’ansia in cui viveva, per quanto chimerica potesse esserne la causa, stava evidentemente sortendo gravi effetti sulla sua salute. Ritenevo che alcuni mesi fra le distrazioni cittadine lo avrebbero fatto rinascere. Mister Stapleton, un comune amico che era molto preoccupato per le sue condizioni di salute, era dello stesso avviso. All’ultimo istante accadde questa terribile tragedia.

“La notte in cui Sir Charles morì, Barrymore, il maggiordomo che fece la scoperta, mandò da me a cavallo Perkins, il garzone di stalla, e poiché ero rimasto sveglio a lavorare ffino a tardi riuscii a raggiungere Baskerville Hall entro un’ora dalla disgrazia. Controllai personalmente e confermai tutti i fatti che sarebbero poi emersi dall’inchiesta. Seguii le orme lungo il Viale dei Tassi, vidi il punto presso il cancelletto che dava sulla brughiera dove Sir Charles pareva aver sostato, osservai il mutamento nella forma delle impronte da lì in poi, notai che non ve n’erano altre tranne quelle di Barrymore sulla ghiaia sottile, e infine esaminai attentamente il corpo, che non era stato toccato in attesa del mio arrivo. Sir Charles giaceva riverso a faccia in giù, con le braccia spalancate, le dita conficcate nel terreno, e i lineamenti talmente distorti dalla forte emozione che avrei potuto giurare a malapena sulla sua identità. Non vi erano certamente segni di violenza di alcun tipo. Ma una falsa testimonianza fu resa da Barrymore all’inchiesta. Disse che non vi erano tracce sul terreno accanto al corpo. Lui non ne aveva osservate. Ma io sì; a una qualche distanza, ma fresche e ben visibili.

– Impronte?

– Impronte.

– Di uomo o di donna?

– Il Dottor Mortimer ci guardò per un istante con una strana espressione, e la sua voce si affievolì fino a diventare quasi un sussurro quando rispose:

– Mister Holmes, erano le impronte di un gigantesco segugio!