Ma insomma, Holmes ha partecipato ad un torneo scacchistico? Sì, e addirittura ha sfidato il suo acerrimo nemico Moriarty! Ce lo assicura Fritz Leiber, il celebre autore di fantascienza che ha anche sfornato apprezzatissimi racconti scacchistici. (Il suo Incubo a 64 caselle ha il pregio di essere stato il primo racconto presentato dalla neonata rivista italiana ROBOT, nell’aprile del ’76). Sul numero di febbraio 1962 della celebre rivista specializzata “Chess Review” pubblica un racconto purtroppo inedito in Italia: The Moriarty Gambit, raccolto poi in Chess in Literature (Avon 1975), a cura di Marcello Truzzi.
Leiber disegna il giovane Holmes nientemeno che come un «brilliant chess player», seduto di fronte all’avversario Moriarty in un torneo scacchistico del 1873. È davvero superfluo specificare che Holmes vince in maniera brillante e totale, infliggendo addirittura all’avversario l’umiliazione di un “matto delle spalline” (epaulette mate), quando cioè il re sotto scacco rimane incastrato fra le proprie torri (che in quella posizione assumono l’aspetto di sue spalline militari). Non ci stupisce che in seguito Moriarty abbandoni la scacchiera per dedicarsi ad attività criminali...
Prima però di diventare il Napoleone del crimine, Moriarty lancia ad Holmes una profezia: torneranno ad affrontarsi a scacchi. Sembrano vuote parole, invece dopo cinquant’anni diventa realtà, con il film Sherlock Holmes. Gioco di ombre (2011). Diretto dallo stesso Guy Ritchie che ha fatto “rinascere” il personaggio al cinema nel 2009, è scritto da due quasi esordienti della sceneggiatura, cioè i coniugi Michele e Kieran Mulroney. In questa seconda avventura non si poteva omettere una scena dichiaratamente scacchistica, così ben calzante con il personaggio, quindi nel finale abbiamo Holmes che si lancia in una veloce partita a scacchi con Moriarty. «Quindi possiamo giocare al nostro gioco?» è la battuta italiana che davvero perde il fascino dell’originale: «We get to play that game after all».
Usando come cronometri due orologi Fattorini & Sons di Bradford del 1883 - e visto che la storia si svolge nel 1891, la cosa ci sta a pennello - i due grandi nemici giocano velocemente quella che è stata identificata come la partita fra Bent Larsen e Tiger Petrosian nel 1966 a Santa Monica (anche se a colori invertiti): niente male come anacronismo!
A mano a mano che i due giocatori muovono i pezzi sulla scacchiera, le loro frasi lasciano capire che tutta la storia vista fino a quel momento è stata come un’enorme partita a scacchi: i vari personaggi erano solo pedine, nella più sana e antica tradizione della metafora scacchistica della vita. Da Omar Khayyâm a Cervantes a Borges, in ogni epoca ci sono stati autori che hanno sottolineato come le vite umane siano null’altro che partite a scacchi: comunque vada la sfida, alla fine tutti i pezzi finiscono a giacere nello stesso posto oscuro.
Per un’analisi della partita in questione (con relative ipotesi e varianti), si consiglia il blog di chess.com
www.chess.com/blog/SFN/sherlock-holmesa-game-of-shadows
mentre in italiano c’è la video-analisi del Circolo Scacchistico Pistoiese
www.youtube.com/watch?v=Gl6R_59A9FE
Non resta che chiudere con il finale de L’ultimo saluto di Sherlock Holmes, dove Conan Doyle si ricorda di nuovo distrattamente degli scacchi. «Lei, Von Bork, possiede una virtù molto rara per un tedesco; lei è uno sportivo e non mi serberà rancore sapendo che lei, che tante volte ha dato scacco agli altri, alla fine ha perso la partita».
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