Destini fatali di Thomas H. Cook, Mondadori 2013.
Una storia raccontata e una storia letta. Chi racconta la storia, lontano da tutto e da tutti (caldo terribile e fitta giungla) ad un interlocutore grasso e sudaticcio e a noi lettori è il personaggio principale, il giornalista George Gates. Chi legge una storia all’interno della prima sulla scomparsa misteriosa di una donna è sempre lui insieme a…
Ma veniamo al dunque. Arlo Bride, detective in pensione, racconta la vicenda di una donna scomparsa a George Gates che ha perso il figlio Teddy diversi anni addietro, scomparso pure lui e ritrovato morto ammazzato (moglie persa dandolo alla luce). Allo specchio un uomo senza nessuna speranza nel domani, solo senso di vuoto e “piattezza”, un drink da O’Shea’s, tanti viaggi (Uganda, Saipam, Vienna, Portogallo, Polonia…), tanti ricordi, soprattutto del figlio (incubi), del padre morente, una frase che rimbomba nel cervello “Non dimenticartelo mai, George, il non visto”.
E allora questa ricerca sembra rianimarlo e scuoterlo un po’ dall’apatia. La donna, scomparsa il 24 aprile 1987, è la poetessa Katherine Carr. Ha scritto un racconto e delle poesie che vengono letti e interpretati sia dal nostro giornalista che da Alice Barrows, una bambina malata di progeria (invecchiamento prematuro), lettrice accanita di gialli (Christie, Conan Doyle, Poe).
Dunque ricerca, mistero, ricordi, il dolore di un uomo che ha perso una parte di se stesso attraverso una prosa che scivola nei meandri dell’animo e ritorna alla luce, per annotare un gesto, una piccola fetta di cruda realtà (certi fatti drammatici si ripetono). I dubbi, le angosce e lievi speranze si alternano per dare un senso (difficile) alla vita.
Un piccolo capolavoro. Come la traduzione di Mauro Boncompagni.
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