23) In La vedova del miliardario di E.C. Bentley, I classici del giallo Mondadori 2009, si viene a sapere che il segretario americano del signor Sigsbee Manderson sa giocare a scacchi, requisito tra l’altro richiesto proprio da Manderson.

 ;;

24) In Uomini che odiano le donne di di Stieg Larsson, Marsilio 2007, l’eroina della storia con la testa un po’ fuori posto fa conoscenza degli scacchi grazie al suo avvocato “Mangiavano il prosciutto di Natale e giocavano a scacchi. Lei era del tutto disinteressata al gioco, ma da quando aveva imparato le regole non aveva mai perso una partita”.

 ;;

25) In Ipotesi per un delitto di Clifford Witting, Polillo 2009, due personaggi, Sir Victor e il ragazzo John giocano a scacchi. “Gli scacchi sono tremendamente difficili” si lamenta il ragazzo che vorrebbe giocare a dama. “No, continuiamo a giocare a scacchi, il gioco più bello mai inventato dall’uomo” risponde l’uomo che offre anche una breve spiegazione della loro origine. Alla fine John si becca scacco matto.

 ;;

26) Prima che passi la notte di Enrico Pili, carta d’imbarco 2009, è un romanzo ricco di citazioni sul gioco degli scacchi. Tra l’altro il personaggio principale, Silvio Diaz, segretario di un comune a pochi chilometri da Cagliari, sa muovere con qualche abilità i pezzi sulla scacchiera.

 ;;

27) In La galleria dell’usignolo di Paul Harding in Gli investigatori di Dio, Mondadori 2009, a cura di Mauro Boncompagni, tutto ruota attorno ad una partita a scacchi lasciata a metà tra un prete ed un futuro morto ammazzato. Anche il personaggio principale frate Athelstan sa giocare a scacchi. L’idea essenziale è simile a quella di un breve racconto pubblicato dieci anni prima (cioè nel 1981 rispetto alla prima edizione del romanzo che è del 1991 uscito con nome vero Paul Doherty).

 ;;

28) In Il quadrato della vendetta di Pieter Aspe, fazi 2009, a pag. 248 il rapitore e il rapito si mettono a giocare a scacchi. Sta per dargli scacco matto in quattro mosse.

 ;;

29) Ne L’ultimo custode di Carlo A. Martigli, Castelvecchi 2009, Franceschetto, figlio del papa Innocenzo VIII e Pico della Mirandola si trovano davanti e “il secondo si chiese su quale assurda scacchiera stesse giocando la sua vita. Chi era veramente? Si era creduto una Torre che emanava una luce da lontano, ma forse era solo un misero pedone destinato ad andare avanti casella per casella”.

 ;;

30) “In The murder in number four, un racconto di John Dickson Carr, l’autore esplora per la prima volta la tecnica della risoluzione di un problema, dissertando non tanto sulla tecnica della camera chiusa (cosa che in un certo senso c’era già stata in The Big Bow Mystery di I.Zangwill e che si afferma alla grande prima con The Three Coffins nel 1935( la famosa dissertazione su la Camera Chiusa); poi con  Death from a Top Hat, “Morte dal cappello a cilindro” di Clayton Rawson (1938) che la amplia; e infine una terza di Derek Smith in Whistle up the Devil ;;;(1953), “Un fischio al Diavolo”), ma su come il detective possa e debba lavorare per risolvere felicemente un caso poliziesco. Riporto la prima parte della dissertazione, tra Sir John Landevorne e Bencolin che nel corso del racconto, fieramente, dice: “..E io sono Bencolin, prefetto della Polizia in Parigi”; ometto la seconda parte perché si fa riferimento palese alla risoluzione del caso in questione (la traduzione è di Antonietta Maria Francavilla): “—Che bella scacchiera, vero? — osservò dopo un poco (è Bencolin che parla ora: n.d.r.) —Una partita a scacchi può essere un’impresa terribile e affascinante quando bisogna giocarla a rovescio e con gli  occhi bendati. L’avversario comincia col re in posizione  di scacco e tenta di rimettere i pezzi nelle posizioni in cui si trovavano all’inizio. Ecco perché non si possono applicare regole o leggi matematiche al delitto. Il miglior  giocatore di scacchi è quello che riesce a visualizzare la scacchiera come lo sarà dopo la sua mossa. Il miglior investigatore è quello che riesce a visualizzare la scacchiera com’era stata prima che lui trovasse i pezzi disposti a casaccio. Deve possedere tanta immaginazione da intuire le occasioni che il criminale ha avuto, e da agire come il criminale avrebbe agito. E’ una grande, orrenda battaglia tra due immaginazioni opposte. Nessuno è più portato di un investigatore a fare un mucchio di pompose e macchinose chiacchiere su ragionamento, deduz­ione e logica. Troppo spesso dice “ragione” quando in realtà intende “immaginazione”. Io invece mi rifiuto di ammettere che una pedanteria da due soldi come la ragione venga confusa con una qualità assai più elevata”. Questo pezzo è stato tratto dall’articolo di Pietro De Palma La prima produzione di John Dickson Carr: i quattro racconti di Bencolin, pubblicato nel Blog del giallo Mondadori.