Prevedendo l’inevitabile sconfitta, prima che le truppe alleate invadano Pechino, la corte Manciù, con l’imperatrice Tzu-Hsi in testa, si ritira precipitosamente, mettendosi in salvo prima a T’aiyüan e poi a Sian, mentre compie l’ennesimo volta faccia dando ordine alle truppe governative di collaborare con gli invasori nel soffocare l’insurrezione popolare. Nonostante siano traditi e abbandonati a se stessi i Boxer danno prova ancora di una fiera resistenza, combattendo strenuamente fino alla fine. Compiendo attività di rappresaglia e di guerra partigiana, continuano a sferrare attacchi e attentati contro le roccaforti del nemico sia a Pechino che a Tenstsin. Ancora attivi in tutta la Cina nord-orientale emanano proclami fino all’autunno del 1900, nelle città e nelle campagne fino al bacino dello Yangtze. Diverse altre provincie insorgono, dando appoggio ai rivoltosi e facendo fallire, di conseguenza, i piani di spartizione delle forze alleate. La dinastia Manciù nomina Li Hung Chan perché tratti una resa onorevole e che consenta la conservazione del potere per l’attuale governo. Il 7 settembre 1901 viene firmato il protocollo conclusivo noto come “Protocollo dei Boxer”, che condanna la Cina al pagamento dell’enorme indennizzo di 980 milioni di liang d’argento, circa 333 milioni di dollari, da saldarsi in 39 anni, intima la perdita dell’introito proveniente dalle tasse di tutto il  Paese, che passano sotto l’amministrazione straniera, e obbliga il governo a soffocare ulteriori rivolte sul nascere, consentendo nel contempo alle truppe straniere di stazionare a oltranza sul territorio. Nel dicembre del 1900, Lenin scrive sul primo numero della rivista “Iskra”: «Potevano i cinesi, non odiare degli uomini che erano giunti in Cina solo per il profitto, che si servivano della propria civiltà solo per l’inganno, il saccheggio e la violenza, che conducevano una guerra contro la Cina per ottenere il diritto di commerciare l’oppio, che coprivano ipocritamente la politica del saccheggio con la diffusione del cristianesimo?». All’inizio del XX secolo, l’era del Celeste Impero è ormai terminata e Tzu-Hsi, l’ultima grande imperatrice della storia, con il fallimento della sua politica oltranzista e xenofoba sancisce l’ormai inevitabile trasformazione della Cina in una potenziale colonia delle potenze imperialiste. Costretta ad abdicare, l’ultima imperatrice assiste impotente alla sua disfatta e all’alba di una nuova epoca.  Solo nel 1908 il debito contratto dalla Cina viene in parte coperto dagli Stati Uniti con l’erogazione di borse di studio per gli studenti cinesi meritevoli ed è dichiarato estinto nel 1924. La fine di un impero feudale ormai vetusto e anacronistico passa dunque attraverso la sanguinosa rivolta dei Boxer e l’ultimo tentativo di un’imperatrice, “l’unico vero uomo della Cina”, di fermare inutilmente il tempo.

Bibliografia

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