Mi piace quando la vita entra di prepotenza dentro un romanzo. Ma non la vita di tutti i giorni, quella della cronaca dei giornali o dei numerosi Tg. Non proprio quei casi specifici, o almeno, non solo. Parlo della vita in generale, di quelle cose che ti capita di leggere in un romanzo e dici “ehi, ma questo potrebbe succedere anche a me”. O meglio: “sembra proprio quello che è successo a…”.
Ecco, parlo di questo. Di quelle occasioni in cui ti rendi conto che quello che stai leggendo – o magari scrivendo – ha quel qualcosa in più, quel sapore genuino e non artificioso che è il marchio di fabbrica di ogni esistenza. Proprio perché spesso sono le cose semplici che ci colpiscono, vuoi anche per il fatto che le sentiamo tanto vicine a noi.
E può capitare che uno scrittore particolarmente bravo sappia gestire in modo magistrale quello che potremmo chiamare “l’effetto realtà”. Ma, ipotizziamo per un momento: se questo scrittore, che abbiamo presentato come davvero molto bravo, si dimostrasse tanto eccezionale da inserire nel suo romanzo non solo una bella fetta di “vita”, ma addirittura un qualcosa che lui stesso si apprestava a vivere, naturalmente senza ancora poterlo immaginare?
Una bella coincidenza, direte voi. Be’, l’ho pensato anche io, anzi, non mi sono limitato a queste riflessioni e sono andato anche oltre. Ma solo un po’, senza esagerare, anche perché il discorso che sto introducendo si riferisce sì a un caso realmente accaduto, ma un po’ indietro nel tempo – anche se non troppo – da non permettermi di andare a fondo per indagare su tutti i retroscena.
La vicenda avvenne nel 1983, anche se in Italia il caso venne discusso approfonditamente solo qualche anno più tardi, in occasione dell’edizione italiana del romanzo in questione. Probabilmente il nome Frédéric Dard non vi dirà molto. In effetti anche nel paese d’origine la sua fama letteraria è affidata, come in molti altri casi celebri, principalmente a uno pseudonimo: Sanantonio – che è anche il nome del protagonista dei suoi numerosissimi romanzi, il commissario Sanantonio. E il romanzo che con tanta sorpresa ha fatto da ponte tra la finzione letteraria e la vita vera e propria è La finestra in fondo alla strada (Titolo originale: Pourquoi faut–il tuer les petits garcons qui ont les mains sur les hanches) edito in Italia da Mondadori.
Conosciamo un po’ meglio l’autore, prima di avventurarci tra le pagine delle sue opere.
Charles Antoine Frédéric Dard nasce a Bourgoin-Jaillieu, il 29 giugno 1921, e muore a Bonnefontaine, in Svizzera – tra l’altro scenario del romanzo di cui parleremo – il 6 giugno del 2000. Abbandona presto l’idea di dedicarsi all’attività di ragioniere – seguito dei suoi studi commerciali presso le Ècoles La Martinière a Lyon – e inizia a lavorare come giornalista. La carriera di scrittore prende le mosse negli anni ’40: La Peuchère è il primo romanzo che scrive. Nel 1942 sposa la sua prima moglie, Odette Damaisin – la quale gli darà due figli, Patrice ed Elizabeth – e in quegli anni Dard mantiene la famiglia scrivendo romanzi popolari e per ragazzi. Nel 1968, dopo il divorzio con Odette, e un tentato suicidio a seguito di una forte depressione, sposa Françoise De Caro, figlia dell’editore Armand De Caro (Edizioni Fleuve Noir) e si trasferisce in Svizzera, seguendo l’esempio di altri illustri colleghi – tra cui lo stesso Simenon – per sfuggire alle pressioni del fisco. Da queste nozze, nel 1970 la nascita della figlia Joséphine – lei stessa protagonista della misteriosa vicenda della quale andremo a parlare – anticipata di pochi mesi dall’adozione di un bambino tunisino, Abdel.
Frédéric Dard risente molto dell’influenza di alcuni scrittori americani, Peter Cheyney su tutti, e in particolar modo si avvicina a Georges Simenon il quale scriverà anche l’introduzione al suo romanzo Au massacre mondain. Il successo vero e proprio giunge qualche anno più tardi quando, nel 1949, con il romanzo Réglez–lui son compte! crea il personaggio che avrà maggior successo commerciale: Sanantonio, da cui uno dei suoi innumerevoli pseudonimi, conosciuto anche più semplicemente come “Sanà”. È nel 1957 che viene insignito con il Grand prix de littérature policiére per il romanzo Le Bourreau pleure. Autore prolifico, nella sua carriera ha scritto oltre 300 romanzi, vendendo qualcosa come circa trecento milioni di copie. Il suo linguaggio sperimentale ricco di neologismi lo caratterizza come uno degli scrittori più particolari e innovativi. Alcuni studenti hanno raccolto in un libro – Dictionnaire Sanantonio – oltre 15000 lemmi di sua invenzione, insieme a una serie di posizioni sessuali descritte nei vari romanzi. Altrettanto particolare è il suo approccio alla scrittura:
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