III. Investigazione e personaggi
Abbiamo detto quindi che il 1956 è un anno fondamentale per la storia del poliziesco e che porterà mutamenti molto più significativi che non il semplice metodo d’investigazione.Importante è il cambiamento che subisce il ruolo della polizia all’interno del genere. Benché il commissario Maigret (lo riportiamo come esempio, ma non è il solo) muova i suoi primi passi nel lontano 1929 (in una serie di novelle scritte per la rivista Détective), la maggior parte della letteratura gialla vede in primo piano personaggi che non appartengono alle forze dell’ordine, anzi. Molto spesso il poliziotto di turno è quasi messo in un angolo (se non in ridicolo) da detective più o meno ufficiali, quasi improvvisati. Per fare un esempio potremmo ancora una volta aiutarci con i romanzi di Rex Stout, dove il geniale e scontroso Nero Wolfe mette più volte in difficoltà l’ispettore Fergus Cramer, quasi deridendolo. Ma se possiamo affermare che il pachidermico investigatore della 35° strada è pur sempre uno del campo, non possiamo certamente dire la stessa cosa di altri personaggi (gli stessi Philo Vance, Miss Marple, o per fare un esempio televisivo molto noto, la lunghissima serie della signora Jessica Fletcher, nel cui ruolo oramai è prigioniera l’attrice Angela Lansbury).
Adesso la polizia è in primo piano e non solamente attraverso un suo rappresentante. C’è una squadra intera, un distretto, un gruppo di personaggi non necessariamente affiatati… un po’ come la realtà. Investigare è un lavoro duro e impegnativo e per la prima volta, con decisione, la polizia è dalla parta della gente, contro il crimine, lasciandosi alle spalle quella veste d’antipatia che il genere gli aveva costruito attorno. Adesso, in qualche modo, il poliziotto è l’eroe, colui che tra mille difficoltà, lotta contro il male.
Fondamentale in questo passaggio è il cambiamento del punto di vista. Adesso il crimine è vicino al lettore, in strada, nelle case di gente normale. E la polizia è lì, a un passo, nel bene come nel male.
Ma a questo punto vorrei introdurre il cambiamento più importante e che con maggiore effetto si ripercuote su tutta la letteratura successiva.
Il personaggio (nel nostro caso, relativamente all’87° distretto di McBain, tutto il gruppo) smette di essere semplicemente uno strumento per raggiungere l’obiettivo. I vari detective non servono alla storia solo per tirare le somme e alla fine mettere al muro l’assassino. Da elementi della struttura, diventano, per l’appunto, personaggi, a tutto tondo.
Ancora una volta ci lasciamo aiutare da Nero Wolfe (non Rex Stout, attenzione), visto che un appiglio per spiegare meglio questo dettaglio lo troviamo in uno dei romanzi che lo vede protagonista. Stiamo parlando di Nero Wolfe: Il capitolo mancante (titolo originale: The missing Chapter, 1993), romanzo di Robert Goldsborough (autore che dopo la morte di Stout, nel 1975, ha proseguito la serie aggiungendo 7 romanzi).
Be’, nella scena finale del romanzo, ora perdonatemi se vado a memoria, Archie Goodwin si compiaceva del fatto che finalmente l’ascensore, rotto da alcuni giorni, era stato aggiustato (e finalmente sarebbero terminati i borbottii del suo capo!). Inoltre, andava sottolineando un cambiamento: da quel momento in poi non avrebbe più potuto scrivere che il rumore cigolante dell’ascensore lo avrebbe avvisato dell’arrivo del suo “signore e donno”.
Un cambiamento insignificante, ma se vogliamo, questo è il margine che un autore si prendeva in storie di questo tipo (a maggior ragione Goldsborough che non è l’inventore del personaggio). Il fatto che lo stesso Wolfe fosse maniacale nella cura di certi dettagli ci può distrarre dal discorso che vogliamo fare. Fino a un certo momento, in romanzi con questa struttura, tutto è molto immobile e ogni cosa è uguale a sé stessa, da romanzo a romanzo (pensiamo pure all’abbigliamento di Peter Falk nella serie di Colombo, nonché alla staticità della sua vita privata, benché la serie sia andata in onda per diversi decenni).
Robert Goldsborough ha cercato nel meccanismo dell’ascensore il modo per suggerire il passare del tempo, non potendo fare molto con i personaggi (benché Archie rispetto a molti colleghi suoi contemporanei e antecedenti, goda di una vita privata molti più dinamica).
Con la serie di McBain il tempo e la vita privata dei personaggi vengono proiettati nella storia, nel giallo, e se dopo aver letto qualche romanzo rimaniamo affascinati da un personaggio quale Steve Carella (che nel frattempo si sposerà e avrà due figli), è proprio perché nel corso delle vicende, nel modo di pensare e parlare, proietta quel qualcosa di molto personale che in qualche misura è dettato dalla sua vita privata e interiore.
Il lettore lo sa, e lo capisce, il personaggio, magari qualche volta intuisce pure le sue reazioni prima che queste avvengano. Il lettore sa che è un tipo a posto, corretto e cupo. Il lettore non può rimanere impassibile quando soffre, magari perché qualcuno ha ucciso in modo violento suo padre (Vedove, Widows, 1991).
Il lettore è nella storia, non semplicemente appresso al giallo, è lì, al fianco di tutti i protagonisti, pronto a seguire la trama del delitto, ma mai deluso quando l’autore si sofferma (senza mai divagare eccessivamente) ad analizzare la vita dei protagonisti, quella stessa vita che farà loro prendere una decisione piuttosto che un’altra.
Ed McBain ha portato il crimine vicino al lettore, ma per fare questo non ha potuto lasciare indietro i protagonisti delle storie. Un personaggio stereotipato calato in un sistema complesso quale la realtà sarebbe stato niente più che una marionetta. La vita vuole la vita.
E così succede che anche davanti a passaggi che potrebbero risultare banali, chi legge può sentirsi travolgere da un qualcosa di più profondo, indefinibile (se poi descrivere la vita come indefinibile sia corretto, non so!), qualcosa che lascia il segno in qualche modo. Riportiamo un passo breve, da uno degli ultimi romanzi della serie, Il party (titolo originale: The Frumious Bandersnatch, 2003). È una delle scene finali, ma non preoccupatevi, non svelo nulla:
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