Ogni tanto mi vengono queste domande. Non dovrebbero venirmi perché non sono un filosofo e rischio di cadere nel banale. Ma a volte è meglio cadere nel semplice e nel banale che nella complessa astrusità (bella scusa). Da piccolo avevo una paura bestiale. Del buio, dei fruscii, dei rumori più svariati tanto che, sul far della sera, seguivo la mia mamma per tutte le stanze della casa (perfino al gabinetto). Non avrei potuto immaginare, neppure lontanamente, che sarei diventato un lettore di romanzi polizieschi. Il primo pensiero che mi viene in mente sull’interrogativo proposto è perché, forse, abbiamo proprio bisogno della paura. Fa parte di noi, della nostra condizione umana. Meglio cercarla e trovarla, per tenerla sotto osservazione, sotto controllo. Magari al lume di candela, in soffitta e mentre scoppia un temporale. Sto esagerando ma è così. Un rapportarsi della paura immaginaria con le nostre paure, con i nostri istinti più nascosti e la nostra aggressività (siamo anche noi capaci di simili efferatezze?). Ecco, la domanda tra parentesi andrebbe tirata fuori. Anche perché nella mia mente di ragazzo perversamente immaginifico tutti più svariati metodi di soppressione dell’”homo sapiens” appresi da letture giallastre venivano messi in pratica. E così vedevo la faccia da gufo della prof. di matematica (mai vista una prof. di matematica con una faccia normale) diventare cianotica e contorcersi per il veleno, il volto del Preside tumefatto da qualche ben assestato colpo di martello, il vicino di banco che non passava i compiti penzolare impiccato al gabinetto. Con il trascorrere degli anni cambiavano le figure dei morituri e pure anche i metodi di soppressione che intanto venivo imparando. Il vicino di casa chiassoso con l’accetta in mezzo alla fronte o la suocera sbudellata con la lingua attaccata al soffitto. La differenza stava nel tempo. Della morte, voglio dire. Nel senso che all’inizio manco per idea che li facevo ritornare in vita. In seguito, invece, morti sì ma per poche ore che tanto era lo stesso (sfiducia nell’immaginazione e mancanza di coraggio per passare alla realtà).
Insieme alla paura il brivido del mistero. Intendo l’astuzia per scovare l’assassino, la classica lotta tra due menti che cercano di fregarsi a vicenda, quella dell’assassino, appunto, e quella del detective di turno. Tra le due la mia che cercava di fregare entrambe e finiva per scontentare tutte e tre (quante volte sono ritornato indietro, per vedere se avevo ragione e porca qui e porca là). Una gara tra cellule grigie, una forte emozione intellettuale, una forza gravitazionale che ci attira fino all’ultima pagina. Mistero come scoperta del busillis che sta alla base del racconto ma anche mistero inteso in senso lato. Quello relativo alla vita e alla morte. Ogni volta che sfoglio un bel libro giallo ecco apparire, ecco apparirmi, le solite domande che ogni tanto mi assillano (si fa per dire). Sul perché viviamo, sul perché dobbiamo morire. Una riflessione su me stesso e sul mondo che ci circonda (risultato sconfortante in ogni caso).
Dunque paura e mistero. Aggiungo il personaggio. Quando c’è, naturalmente. Parlo, soprattutto, del personaggio dell’investigatore, uomo o donna che sia (ora anche di altra natura), di quello che resta vivo e pulsante dentro tanti lettori. L’occhio, allora, cade spesso su di lui, sulla sua personalità, sui suoi tic, le sue manie, il suo modo di indagare e di rapportarsi con gli altri. E noi siamo lì che lo seguiamo passo dopo passo pronti a consigliarlo anche se non ci ascolta, a metterlo sull’avviso nei momenti di pericolo…
E parlo pure del cosiddetto personaggio “corale” costituito da più elementi, uno diverso dall’altro, (vedi l’87° distretto, per esempio) che diventano un tutt’uno, un corpo solo. Un microcosmo di vita pulsante con le sue particolari dinamiche umane: invidie, gelosie, simpatie, scontri, affetti e via discorrendo.
Se il personaggio principale è l’assassino, e si sa fin dalle prime pagine, allora sorge, anzi sorgeva, qualche problema (oggi l’ho risolto drasticamente). Sperare che venisse preso o sperare che la facesse franca. Un bel dilemma che mi angustiava non poco e che finiva per risolversi quasi sempre dalla parte sbagliata. Perché in fondo il povero assassino ne aveva di ragione da vendere per far fuori quello e quell’altro, non fosse che per essere nato in un posto sbagliato nel momento sbagliato, magari da un paio di genitori attaccati perennemente alla bottiglia.
Dunque paura, mistero, personaggio. Manca solo, per queste brevi note (ce ne sarebbero altre di cose da dire), lo stile. Nella mia vita di lettore, e immagino pure nella vostra, lo stile, l’apprezzamento letterario di un’opera è venuto dopo. Prima l’impatto emotivo del ragazzetto, in seguito lo studio dell’adulto. Ma è fondamentale dato che, tutto sommato, si spiattellano quasi sempre le solite cose. Un bravo scrittore riesce a rendere appetibile anche una storia di per se stessa risaputa e banalotta, uno scrittore mediocre riesce a mandare a puttana anche un’idea geniale.
Dunque paura, mistero, personaggio e stile. Quattro parole per una motivazione di lettura. Potrei aggiungerne altre e potrei pure citare qualche studioso in proposito ma la cosa si farebbe più complessa. Meglio restare nel semplice. Meglio restare nel banale. E continuare a leggere con la stessa passione di un tempo che fu.
Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it
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