Prologo
Grandi finestre. Piante d’appartamento piuttosto grandi, fiori, tende scorrevoli, aria condizionata. Un profumo aleggiava nella grande sala, in cui troneggiava una scrivania, con un computer portatile aperto ed una lampada blu accesa, nonostante fossero le 10 di mattina. Ma non una mattina come tante altre.
C’erano tante poltrone, e su ognuna sprofondato un consulente. Era una delle tante riunioni della redazione di una casa editrice, specializzata in gialli. Ne sfornava 10 mila copie per ogni uscita: in qualche caso aveva sforato le 100.000, per esempio quando aveva pubblicato “The Tragedy Of Errors”, l’ultimo romanzo abbozzato di Ellery Queen. Ma era qualche tempo che le cose andavano male. La gente non comprava più gialli, e neanche tanti noir: era sempre più legata ai romanzi tutto sesso, che stavano fagocitando il mercato.
-Non ci siamo. Così chiuderemo, gridava il Direttore.
-Non è colpa nostra se il pubblico preferisce altro.
-E’ colpa vostra invece. Perché quei gialli li avete consigliati voi, ed io li ho avallati. Voi li avete tradotti e sieste stati pagati, come sempre. Ma stavolta abbiamo venduto qualcosa come almeno 3000 copie, meno dei giornaletti per adulti che si trovano alle edicole della stazione. La proprietà è furiosa. In poche parole, è necessario un ridimensionamento della forza lavoro. Poi, se le cose riprenderanno ad andare nel verso giusto, allora...
Cominciò a chiamarci, uno ad uno. Io ero in una botte di ferro: ero il caporedattore, e quello che ci stava da più tempo. Il diritto di anzianità è sacro. Ma non bastò. Fece il mio nome.
-Mi dispiace.
-Ma come? Io sono il più anziano! E sono anche il capo-redattore!
-Vero. Ma la proprietà vuole la tua testa. Maggiori guadagni, maggiori responsabilità. Ma, non ti preoccupare, ci sarà sempre una possibilità di rientrare.
-Sindacalmente non potete farlo.
-Infatti, ma la scelta è tua: o accetti e te ne vai, e ti diamo dei soldi; o non te ne vai, e ti mettiamo a fare cose che non hai mai fatto, e piano piano ti declassiamo. Decidi tu. Io non c’entro. E’ un ordine dell’editore.
Ero arrabbiatissimo, vedevo rosso. Ma sapevo di non avere scelta.
Uscii dalla sala, sbattendo la porta. Tutti i miei sogni in fumo. E una serie di problemi dinanzi: la rata del mutuo della casa da pagare, l’operazione di mia moglie, l’auto che non avrei potuto cambiare.
Non sapevo che fare. Mi presi la testa tra le mani.
Passavano davanti a me, non visti i miei ex colleghi, e sentivo i loro commenti.
-Poveraccio.
-Meglio lui, che noi.
-Ha pagato per tutti.
-Maledetti lettori.
E tanti altri simili. Qualcuno si sedette appresso a me e cercò di consolarmi: era mia moglie, che mi chiese di accompagnarla a casa.
Luciana era uscita dall’ospedale il giorno prima: ora bisognava starle vicino durante la chemio. E dovevo anche trovarmi un’altra occupazione: non ci voleva proprio!
-Vengo.
Ma il commento di uno che passò davanti a me non vedendomi per via della pianta che mi schermava, col suo vicino, mi mise in allarme.
Mi avvicinai non visto alla porta della stanza del direttore, e socchiusi la porta tanto quanto bastava a sentire e vedere cosa accadeva. Stava parlando al telefono, spalle alla porta, i piedi sulla scrivania.
-Visto? E’ stato più semplice di quanto ci aspettassimo. Sì. Sì. Ha firmato. Ahaha, che fesso. Con l’ultimo romanzo abbiamo guadagnato 200.000 copie. E’ bastato contraffare i dati di vendita. Gliel’avevo detto: fatto fuori lui, metteremo un qualsiasi poveraccio che si accontenterà di un nulla. Ora continueremo a vendere i romanzi di quell’autore. Ha visto, presidente? Glielo dicevo: l’abbiamo fatto fuori con una facilità …
Nuova risata.
-Bastardo. Mi vendicherò, biascicai sotto voce.
La vendetta è un piatto che va gustato freddo.
-Cara, andiamo - dissi ad alta voce - la vita continua. Ma dentro di me covavo propositi di morte.
Sette anni dopo
;;
Assaporavo crostini coi fegatini e guardavo la strada attraverso la vetrina.
Ero a Firenze, in una trattoria del rione Santo Spirito...
All’improvviso, la mia attenzione fu colta da una bella ninfa che camminava proprio rasente la vetrina, una corta minigonna che lasciava ammirare delle belle gambe tornite, i muscoli tesi, e i glutei ben in tensione a causa di certi tacchi abissali.
-Almeno però li sa portare, mi dissi- questa fanciulla, dai lunghi capelli biondi!
Veramente aggiunsi anche un complimento alla mamma che l’aveva procreata in siffatta notevole maniera: santa mamma!
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