Dopo le fasi preliminari, cartaio fu scelto un certo Aldo Cesi, che di mestiere faceva il tipografo e che era lì solo per la parata. Distribuì le carte, dopo aver tolto i due. Le prime fasi furono favorevoli ad un tal Settimio Palestri, pilota di una Bugatti che era venuto non per la corsa ma per la parata iniziale: prima doppia coppia agli assi e piattino, poi coppia di re contrapposta alla coppia di donne, di Ferrigno. Dopo circa un’ora, Perrino perdeva 500 euro, Ferrigno 650. Dopo due ore Perrino perdeva 1390 euro, mentre gli altri più o meno erano in pareggio. Dopo tre ore e mezzo, dalle ore 19,30, Perrino, pur non avendo osato più di tanto dall’inizio della partita, e pur avendo vinto nove mani, perdeva 2000 euro, per cui fu costretto a pagare e ritirarsi: aveva avuto incredibilmente una trentina di mano perdenti, in cui al massimo era riuscito a metter su una scala. Ben presto Aldo Bini cominciò a vincere in continuazione: i colori e i full non si contavano, e anche Sesto decise di soprassedere e ritirarsi, pur rimanendo ad assistere alla partita.E tutto finchè Ferrigno, che pur perdeva, vinse il grande piatto con una Teresina al baffo da gran giocatore: un pokerissimo opposto ad una scala reale massima di quadri opposta da Attolico.

Così alle 00,40 tutti si alzarono e andarono a dormire: in pratica chi aveva vinto di più risultò essere proprio Ferrigno con i suoi 1.200 euro.

L’indomani mattina, alle ore 10,00, parecchi si ritrovarono ai box: c’era chi rodava il motore, chi lucidava la carrozzeria, chi infine era intento a oliare i freni, versare acqua nel radiatore, provare la messa a punto dell’auto: insomma tutto ciò che sarebbe servito per avere un’auto al massimo delle prestazioni l’indomani mattina. E la giornata trascorse così, funestata da un caldo opprimente: alle ore 14 si registrarono 42°. Molti erano dubbiosi sulla tenuta della strada: temevano infatti che l’asfalto che cominciava a sciogliersi, nel caso in cui la notte la temperatura fosse scesa bruscamente, avrebbe potuto creparsi e rendere la competizione ardua e pericolosa. Tanto più che, già la notte e la sera precedente, si era scatenato un nubifragio incredibile che aveva formato strati rilevanti di fango ai bordi della strada, mentre poi appunto il sabato, quella mota si era seccata diventando durissima ma anche in alcuni punti mantenendosi molle negli strati più bassi e costituendo un serio pericolo di tenuta per chi ci fosse passato al di sopra.

La domenica mattina, tuttavia, una folla festante accalcò sin dalle prime ore del mattino, le tribune dell’autodromo. Innanzitutto ci sarebbe stata la parata, cui avrebbero partecipato quaranta auto circa, e poi sarebbe seguita la corsa vera e propria ristretta a circa dieci, di cui 5 appunto si stimava potessero vincerla: avrebbero dovuto percorrere quaranta volte il circuito e aggiudicarsi il premio corsa. Dei cinque in gara, solo Perrino non si presentò e vane furono le ricerche.

I quattro si apprestarono, quindi a prendere possesso delle proprie vetture, ma..ecco il colpo di scena: mentre Ferrigno, Attolico e Pisticci, prendevano posto belle loro auto, Sesto non riuscì ad aprire la saracinesca del suo box. Ci si misero in due, poi anche in tre, ma senza risultati; finchè qualcuno non si procurò una sbarra e forzarono la saracinesca. Lo spettacolo che si prestò ai loro occhi li lasciarono attoniti: nella Porsche giaceva una figura accasciata. Si avvicinarono e si accorsero che un filo di sangue ormai secco era colato dalla tempia destra del guidatore, e un buco nero e definito faceva bella mostra nella tempia destra del dott.Giuliano Perrino. Un suicidio? Almeno così sembrava. Anche se strana sembrò la scena: giaceva al posto di guida, le chiavi inserite nel cruscotto, i vetri ermeticamente chiusi, e un doppio filo di spago circondava i fermi interni delle portiere, che pur essendo aperte, risultavano essere così impossibili da aprire, proprio a causa dello spago che impediva che le opposte portiere davanti potessero essere spalancate verso l’esterno. Un modo di chiusura, che avrebbe impossibilitato chiunque a prestare soccorso al suicida.

In breve un capannello di persone si formò, e solo l’arrivo della 3 pattuglie della Polizia comandate dal Commissario Pietro Longalma riuscì a disperdere l’assembramento.

Il dott. Longalma era un quarantenne alto 1,90 e con una gran pancia: non molto attraente in viso, aveva tuttavia qualcosa che lo rendeva subito molto simpatico al gentil sesso; a fatica, anche a causa della sua corporatura ingombrante, riuscì a farsi strada verso l’abitacolo; ma solo l’arrivo del Medico legale, la dott.ssa Ambrosiani, una donna di circa quarantacinque - cinquant’anni, assai piacente con un bel seno, che una camicetta stretta rendeva più esplosivo di quanto non fosse in realtà, permise di capire le dinamiche.