Due volumi di recente uscita mi hanno dato per così dire l’ispirazione a portare sulle pagine dello Sherlock Magazine il dibattito oggi in corso negli ambienti letterari accademici sull’opportunità di definire il “giallo” (poliziesco, ecc.) non più detective fiction bensì crime fiction. Apparentemente una questione di scarsa rilevanza, il problema tocca in realtà molto da vicino l’essenza del genere, sfiora gli equilibri fra i personaggi e le loro azioni, e coinvolge direttamente la percezione e il giudizio del lettore. In maniera molto semplicistica, davanti a un Mastino dei Baskerville definito “crime novel” i cultori di Sherlock Holmes e del Sacro Canone potrebbero risentirsi di non trovare il detective e la detection menzionati nell’etichetta del genere: è pur vero che di crime si tratta indiscutibilmente, ma dove vanno a finire l’indagine, il ragionamento logico-deduttivo, il travestimento strategico, le lettere, e tutto il resto? E se il crime relega la detection in secondo piano, ciò non equivale ad ammettere implicitamente la superiorità del criminale rispetto all’investigatore?
La questione in realtà è molto più complessa e sottile e i teorici che se ne stanno occupando (Stephen Knight, Heather Worthington e Maurizio Ascari tra gli altri) sono ben consapevoli di tutte le sfumature e sanno bene di muoversi in un campo minato. Ma non è questo l’argomento di cui voglio parlare e quindi torno ai due volumi in questione. Il primo è Delitti imperfetti atto I e II (Il Saggiatore 2007) di Luciano Garofano, tenente colonnello dell’Arma dei Carabinieri e comandante del Reparto Investigazioni Scientifiche di Parma. Il secondo è L’investigatore criminologo. Analisi e intervento nella comprensione dei fenomeni criminali (Centro Scientifico Editore 2009) di Biagio Fabrizio Carillo, capitano dell’Arma dei Carabinieri e collaboratore presso la Cattedra di Diritto penale della Facoltà di Giurisprudenza e presso l’Unità Operativa di Psicologia forense, Psicologia giudiziaria e Criminologia clinica dell’Università di Torino.
Quanto accennato sugli autori è sufficiente a comprendere la prospettiva e il taglio dei volumi. Si tratta di opere studiate “sul campo” e scritte da veri esperti del settore: esperti in balistica, in psicologia, in biologia, persone i cui occhi e la cui mente sono superallenati a interpretare segni, colori, odori. Veri eredi di Sherlock Holmes, la loro detection si misura ogni giorno con i crimes più efferati, e in più sono ostacolati dalle lentezze della burocrazia, dalla resistenza e dai pregiudizi di gran parte dell’opinione pubblica, dall’ingerenza dei mass media. Vittime di barzellette irriverenti (e lo sanno, e hanno lo humour necessario per riderci sopra), sono loro gli eroi della scena del delitto, i protagonisti di quella grande fiction che purtroppo fiction non è: la cronaca nera italiana, che per varietà e immaginazione non è certo seconda alle puntate più truculente di CSI.
Nei due volumi in oggetto, crimine e investigazione si interfacciano continuamente: “Al cuore dell’attività del RIS ci sono la ricerca e lo studio in laboratorio di quelle tracce, spesso invisibili e contaminate, in cui è decifrabile la dinamica oggettiva di ogni delitto” (Delitti imperfetti). Su un altro versante, L’investigatore criminologo auspica un “metodo di studio e ricerca di tipo interdisciplinare, che prevede una collaborazione con esperti […] e gli strumenti offerti oggi non solo dalla criminalistica investigativa, ma anche dalla psicologia giudiziaria e dalla criminologia clinica”.
Delitti imperfetti è scritto sotto forma narrativa, mentre L’investigatore criminologo è un saggio, ma entrambi sono animati dalla medesima intenzione di superare i confini tra le discipline e le funzioni: il primo mediante la ricostruzione di atti criminali e delle indagini scientifiche che hanno portato all’identificazione del colpevole in alcuni casi esaminati, il secondo attraverso un reinquadramento della scena del crimine in termini psicologici, clinico-comportamentali e giuridico-penali, seguito dall’esposizione di alcuni casi specifici.
Come definiremo il genere specifico che rappresentano questi due volumi? Non vi figurano investigatori privati, né agenti di polizia – quindi non è, strettamente parlando, detective fiction, ma neanche romanzo poliziesco. Carabinieresco è fuori discussione. Dovremo cedere al crime fiction, temo, ma con la consapevolezza che il delitto (almeno sulla carta) è sempre imperfetto, e che il criminologo, man mano che la scena del crimine si arricchisce di spessore, è sempre più vicino a quell’ideale che incarnava il nostro Sherlock Holmes: maestro di logica deduttiva (o abduttiva), certamente, ma anche – come ci insegna E. J. Wagner (The Science of Sherlock Holmes, Wiley 2006) – il vero iniziatore delle scienze forensi, una disciplina che la studiosa americana (letterata, criminologa, e proprietaria di un Labrador Retriever che si chiama Dr. Watson) ha definito appunto “la scienza di Sherlock Holmes”.
Delitti imperfetti atto I e II (Il Saggiatore 2007) di Luciano Garofano
L’investigatore criminologo. Analisi e intervento nella comprensione dei fenomeni criminali (Centro Scientifico Editore 2009) di Biagio Fabrizio Carillo
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