Da sempre, il meglio del giallo-nero (scritto e visivo) è ben radicato in luoghi e soprattutto città. È sempre stato lo sfondo a dare gran parte della personalità e della forza al genere. Anche in Italia gli esempi sarebbero tantissimi. Ad accettare la sfida di una tradizione imprescindibile è la collana Le regioni del male, curata da Chiara Bertazzoni per la ligure Ennepilibri, che si apre nel modo migliore con questo volume di autori marchigiani. In NeroMarche, allora, niente non-luoghi globalizzati – magari attraverso riferimenti culturali “di massa” – che potrebbero svolgersi in qualunque posto. Anche nelle storie costruite su interni, lo sfondo è il vero protagonista: anche da questo gotico provinciale passa la strada per la “nuova epica italiana”. L’ambientazione è il valore in sé, mentre non esiste un filo unificante che definisca una “marchigianità” quintessenziale, ed è giusto così. Se esistesse, sarebbe il segno di un’interpretazione artificiosa. Dalle scelte di Giuseppe D’Emilio (che ci ricorda la collaborazione di Chiara Bertazzoni), ciò che emerge possiede la forza visionaria e sfaccettata dell’arte cubista: una modernità vissuta con l’impressione della marginalità, in cui l’elemento “nero” nasce da una mala fede legata a (come altro chiamarla?) un’antropologia geopolitica regionale. Si vive al centro dell'impero, e ci si illude di essere alla periferia. Da “italiani brava gente” di provincia, si prendono compiaciute distanze da una contemporaneità rispetto a cui ci si sente superiori, ipocritamente innocenti, e di cui si ha interiorizzato tutto il peggio. Allo stesso tempo, altrettanto inquietanti sono i brandelli di passato (rurale o urbano) a cui qualcuno si aggrappa.
Allora il racconto meno noir di tutti, un gioco letterario straordinariamente provocatorio, diventa quasi il manifesto dell’intera raccolta: Biancastella Lodi rilegge Leopardi non come il segno da sussidiario (o da storia letteraria “seria”) di una sensibilità nutrita da un ambiente borghese colto e sano, ma come reazione a una crudeltà ambientale soffocante. Nume tutelare dell’antologia, anche Leopardi vuole sfuggire a un’ideologia e una mitologia del passato imposta su di lui.
In tutta l’antologia, inaugurata da un’introduzione di Nicoletta Vallorani (marchigiana di origine e da sempre protagonista del nero italiano) e conclusa in quarta di copertina dalle note di Valerio Evangelisti e Giampiero Rigosi, a brillare è la varietà degli approcci. Proviamo a creare qualche filone ideale.
C’è il folklore urbano, ipermoderno e brutalmente esagerato, di Paolo Agaraff e Lucio Angelini, e quello più tradizionale di Marica Petrolati, con una forza allegorica da romanzo ottocentesco. Ci sono storie ai limiti del fantastico: l’orrore in Alberto Cola (esploratore della violenza tanto più prezioso e raro per la sua capacità di trovare un registro congeniale in tutti i generi letterari) e Manuela Maggi, una lieve spruzzata di fantascienza in Piero Calibano. Gli inesorabili meccanismi del noir vanno da quello “classico” di Raffaello Ferrante, ai toni più duramente politici di Alessandro Cartoni (uno dei momenti più efficaci e intensi dell’antologia) e Carlo Cannella; fino a una beffa ironica degna di Cornell Woolrich nel racconto di Roberto Fogliardi – la cui crudeltà non avrebbe sfigurato fra le Anime nere curate da Alan D. Altieri. Un incrocio fra storia “nera” e narrativa di denuncia è quello di Piero Calibano, che potrebbe meritare una ripresa con un respiro più ampio. Un sottogenere a sé si intravede nelle storie totalmente in soggettiva (come peraltro quelle di Fogliardi e Maggi), al limite del monologo interiore: Enrico Santori e David Miliozzi costruiscono i rispettivi racconti intorno all’io narrante piuttosto che alla storia raccontata – una struttura formale che strizza l’occhio alla letteratura “alta”. E abbiamo due detection “al nero” in Elena Coppari e Pelagio D’Afro; questi scettici indagatori alle prese col grottesco paiono più usciti dalla penna di Loriano Macchiavelli che non da qualche classico del poliziesco, e si presentano con una grandissima potenzialità seriale: mi piacerebbe ritrovarli in altre storie. Una menzione d’onore la riserverei a Maggi, un Gian Burrasca al femminile, sobrio ed esplosivo, che potrebbe diventare il nucleo di un horror-thriller unico; non ci sono elementi splatter, ma basta l’età della protagonista a fornire un abbondante surplus di crudeltà.
Una conclusione. Per caso, poco dopo la lettura dell’antologia, trovo un memorabile riferimento anconetano in un ottimo racconto di Piernicola Silvis (scrittore già coinvolto in progetti comuni con alcuni autori di NeroMarche) uscito in appendice a un Segretissimo tutto italiano letto in leggero ritardo (Vlad: Tempesta nella città dei morti di Xavier LeNormand aka Stefano Di Marino, uscito ad aprile). Silvis scrive, osiamo dire, una storia di fantascienza: un’Italia travolta da un putsch militare, il momento della “loro” vittoria segnato dal suicidio dal Passetto di un giovane idealista disadattato. Se l’unica innocenza è nell’ipocrisia, non ci sono speranze per l’innocenza autentica. Nella sensibilità che mostra, anche il racconto di Silvis fa parte del nero delle Marche.
NeroMarche, a cura di Giuseppe D’Emilio. Imperia, Ennepilibri, 2008, E. 13,80
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