Il sergente dai capelli rossi

 

Dopo i tre casi disgraziati ne arrivarono altri cinque, ma i miei successori non ebbero miglior fortuna. Vi sembrerà strano ma è così. Nonostante i mezzi messi loro a disposizione fecero fiasco completo. Da una parte mi dispiaceva per la mia città, dall’altra ne ero quasi contento. Anzi, siccome ho detto di dire tutto senza mezzi termini, ero contento senza il quasi. Fui richiamato a furor di popolo all’ottavo delitto. In effetti l’opinione pubblica mi era stata sempre vicina, ed anche la stampa, ad essere sincero. Questo fatto provocò come una frustata di adrenalina che mi permise di portare a termine il mio compito. Non ve ne parlo ora perché ho una rabbia dentro che mi fa scoppiare le budella. Durante l’ultimo caso arrivò anche un sergente in gonnella (si fa per dire perché portava sempre i calzoni) dai capelli rossi. Una specie di Milva in miniatura dalla bocca meno pomposa, con lo sguardo furbetto e lo scilinguagnolo sciolto. Portamento eretto con movimenti rapidi che mettevano in subbuglio le rotondità sporgenti. Mani di normale lunghezza sempre in fermento, pelle bianco-farina che faceva risaltare ancora di più la massa capillare rosso-rame. Una scossa, una scarica di vitalità dirompente. Trentacinque anni ben portati, laureata in psicologia. Secondo il procuratore Silvestri, che si dolse di avermi tolto l’inchiesta per un certo periodo ma gli ordini superiori non si discutono, doveva darmi solo un supporto psicologico alle indagini. Un intuito femminile coniugato con una ferrea preparazione psicologica mi sarebbe stato di un certo aiuto. Non che ne avessi bisogno e non si fidasse delle mie capacità, ci mancherebbe. Anzi si fidava proprio della mia intelligenza per capire che non la dovevo prendere come una offesa. Tanto più che la signorina in questione, perché di signorina si trattava e non di donna maritata, non era proprio bella bella bella ma carina sì, con tutte le sue cosine al punto giusto, un tipo, insomma, da come aveva potuto rendersi conto di persona, e il commissario, se la memoria non gli faceva cilecca, era ancora “signorino”. E il commissario, cioè il sottoscritto, avrebbe potuto unire l’utile al dilettevole…Due piccioni con una fava.. Ringraziai di cuore il procuratore Silvestri, sia per i piccioni che per la fava, e mi apprestai, obtorto collo, a ricevere il prezioso aiuto del sergente elettrico. All’inizio non la presi bene. Durante la mia carriera non avevo mai avuto bisogno dell’aiuto di nessuno, se non delle battute di Manganelli e me l’ero sempre cavata egregiamente. E ora arrivava questa…questa sgrillante piedipiatti a volermi insegnare il mio mestiere. Per di più rossa, quando le ragazze rosse non mi erano mai piaciute nemmeno da ragazzo. Nel paese in cui ero nato si diceva che le rosse erano delle teste calde (vedi il colore), un po’ matte, poco fidate e che portavano perfino sfiga tanto che qualcuno, se aveva la ventura di incrociarle, andava subito a toccarsi nelle parti basse. E così mi era rimasto questo imprinting. Ma dopo un po’ che la frequentavo per i noti motivi professionali incominciò a nascere tra noi una certa amicizia, una certa confidenza che mi portò a cambiare opinione, se non sulle rosse in generale, almeno su di lei. Intanto si chiamava Sally Britti, un nome strano adatto proprio a una rossa. Era italiana pura, toscana come il sottoscritto, nata a Castelfiorentino ma il babbo, anche lui di capelli rossi, era un fissato del cinema americano e gli aveva voluto appioppare un nome di un personaggio di un film che l’aveva completamente ammaliato. La mamma si era opposta, ma lei aveva i capelli castani e si era dovuta arrendere. Così fu chiamata Sally, o più precisamente Sally la Rossa dalle amiche e dagli amici di quartiere. Questa Sally la Rossa aveva avuto una vita abbastanza movimentata in tutti i sensi a partire dai tempi della scuola, sia perché non stava ferma un attimo, sia perché non le andava bene nulla e non faceva altro che protestare. Era intelligente, curiosa di tutto e di tutti, preparata, dotata di una esposizione chiara e scorrevole, come ammettevano i suoi insegnanti, ma…ma…Ma era terribilmente cocciuta e non si adattava al tran tran della vita scolastica. Risultato: voti accettabili non aderenti alle sue capacità. Crescendo si era fatta più furba e aveva in qualche modo attutito gli spigoli del suo carattere soprattutto nei momenti cruciali, come quelli degli esami, per esempio. E così era andata avanti negli studi laureandosi in psicologia, una materia che l’aveva sempre interessata, per capire meglio gli altri e anche se stessa. Che non era una cosa semplice. Aveva partecipato ad un concorso per entrare nella polizia, perché era terribilmente attratta dai fatti di cronaca nera, dagli enigmi, dal mistero. Le piaceva scuriosare, ricercare, indagare, ficcare il naso dappertutto. Ed era riuscita nell’impresa di vincere il concorso con la sua volontà, la sua bravura e la sua cocciutaggine. Di giovanotti gliene erano girati intorno parecchi ma pochi venivano scelti e nessuno aveva resistito alla sua personalità imprevedibile e dirompente per più di due settimane. Per cui era rimasta single e non se ne dava troppa pena. Le bastava il suo lavoro ed i suoi numerosi interessi. La ragazza, infatti, non si interessava solo di psicologia ma anche di cinema, di letteratura, di romanzi polizieschi e perfino di scacchi. Sì, proprio di scacchi. Ne fui edotto la prima sera che accettò l’invito di venire a casa mia per fare il punto sulle indagini di quei bastardi di casi che mi stavano rovinando la vita. Solo per questo motivo e non per altro. Ero talmente preso dall’ultimo caso che non mi avrebbe tirato su dal punto di vista ormonale nemmeno una rediviva Marilin Monroe. Le discussioni non mancarono. Era puntigliosa e difendeva il suo punto di vista a spada tratta. Sempre con il dovuto rispetto ma solo quel tanto, o meglio quel minimo per non apparire scortese. Non avendo cavato un ragno dal buco per quanto riguardava il misterioso serial-killer che imperversava nella mia città, tirai fuori la scacchiera con i relativi pezzi e mi misi ad osservarli, come a cercare di scoprire il loro terribile segreto.