Cercai conforto nella mia fedele biblioteca e nelle visite d’arte che in precedenza mi avevano aiutato nei momenti difficili. Per non pensare alla mia situazione psicofisica, mi misi a leggere di tutto e di più. Ogni libro ha una sua caratteristica che lo distingue da tutti gli altri. Un po’ come noi esseri umani. Può essere pesante o leggero, di carta ruvida o patinata, può avere caratteri diversi, una copertina morbida o rigida, può contenere illustrazioni e così via. Ogni volta che lo si incontra è come ritrovare un amico, un conoscente, qualcuno con cui parlare, con cui confidarsi. O arrabbiarsi di brutto. Non è che con tutti i libri vai d’accordo. Talvolta ti ci incavoli e li mandi a quel paese. Per quello che dicono, per quello che vorrebbero che tu facessi o sentissi nel tuo animo. Talaltra addirittura ti verrebbe la voglia di scaraventarli fuori dalla finestra. Ma non lo fai, perché dal confronto e dallo scontro c’è sempre qualcosa da imparare. E così li tieni lì da una parte pronti ad essere usati quando hai voglia di prendertela con qualcuno. Quella era l’occasione buona. Mi aggrappai all’epica, ai grandi condottieri del passato per vedere se mi davano un po’ della loro forza e del loro coraggio. Rilessi interamente l’”Iliade” e l’”Odissea” ritrovando le gesta che mi avevano entusiasmato da giovane studente. Mi ritrovai a parteggiare ancora una volta per Ettore contro Achille che già partiva con il bel vantaggio di essere invulnerabile, e questo mi pareva un vero e proprio schiaffo alla giustizia. Ettore era il mio idolo, il mio eroe. Umano, e per questo vero. Contro il Fato non c’è nulla da fare. L’aveva detto a sua moglie Andromaca. Ilio sarebbe stata presa dai greci, lei fatta schiava, ma lui doveva combattere. In seguito fuori dalle mura ci sarà Achille piè veloce ad attenderlo. Invano il padre e la madre lo pregano di non combattere. Tutto scritto, tutto segnato. Ad Achille la gloria, ad Ettore onore di pianti finché il sole risplenderà sulle sciagure umane, secondo il noto verso del poeta. Così come è segnato il destino di Leonida e dei trecento spartani che devono fermare l’esercito persiano alle Termopili, così come è segnato quello di Vercingetorige sopraffatto dalla forza di Cesare. La storia è fatta di eventi ma, soprattutto, di uomini. Ed è per questo che mi sono appassionato alle biografie. Al liceo avevo letto come l’Alfieri si fosse innamorato de “Le vite parallele” di Plutarco. Questo fu uno dei miei primi acquisti significativi. Anche dal punto di vista pecuniario, perché si trattava di comprare diversi libri e il mio borsellino era desolatamente vuoto. Fui aiutato dagli amici che fecero una colletta. Li ringrazio ancora oggi. Mi misi dunque a rileggere alcune biografie del grande storico greco, per vedere se potevo in qualche modo carpire i segreti della loro grandezza ed elevarmi dallo stato di impotenza in cui mi trovavo. Come effetto delle letture, tanto per fare contento il Foscolo, piansi anch’io alla tragica morte di Ettore, e per non essere scortese nei confronti degli altri, mi commossi come un bimbo di fronte alla fine di Leonida e di Vercingetorige, anche se in quest’utimo caso un po’ meno perché, pur combattendo per la libertà del popolo gallo, comunque era sempre un nemico dei romani ed un po’ di nazionalismo ce l’avevo nel sangue. Tuttavia non riuscii a carpire nemmeno una briciola di forza e manco di sollievo da quelle vite famose. Con Ulisse andò meglio e le sue mirabolanti imprese lì per lì mi diedero una specie di sferzata positiva ma alla fine, al momento dell’incontro con Penelope, dopo aver fatto fuori tutti quei maledetti Proci, non seppi resistere e mi vennero i lucciconi. Ero troppo stressato per reggere pagine tragiche.
Decisi di buttarmi sull’umorismo. Un aspetto dell’umanità che mi aveva sempre interessato fin da ragazzo era quello relativo al sorriso nelle sue componenti essenziali:umorismo, ironia e satira. Tutto ciò che portava al buonumore e faceva sorridere e ridere anche amaramente mi attirava. I giornalini di Paperino, Paperone, Pippo, Pluto. Topolino ecc…mi facevano sbellicare. Stavo ore e ore a sfogliarli. Poi vennero i libri. Un sacco di libri. Perché mi prendevano delle vere e proprie fissazioni. Se ero attratto da qualcosa dovevo subito saperne il più possibile. Dovevo leggere, documentarmi. Il primo vero impatto avvenne con le “Satire”, e non tanto con quelle all’acqua di rose di Orazio, quanto con quelle micidiali di Giovenale. Che non risparmiava nessuno: i rozzi, gli sciocchi, il sottoproletariato dei circenses, il popolino, le insulae maleodoranti che finivano per cadere o bruciare, i lenoni, le prostitute, gli omosessuali, i nobili, i liberti arricchiti, i potenti. Tutto un mondo di depravazione che ritrovai, in parte, anche nel “Satyricon” di Petronio letto qualche tempo dopo con quella colossale, grottesca figura di Trimalcione rimasta intatta nei secoli. E poi Marziale ed i suoi “Epigrammi” con i quali aveva messo alla berlina tutti i difetti ed i tic della società di quel tempo. Dunque ripresi queste letture con l’intento di svagarmi ridendo degli altri. Solo che il mio inconscio era talmente messo male che riuscì a mettermi dalla parte degli sbeffeggiati e non da quella di chi prende in giro e sbeffeggia. Il risultato sorprendente fu che io stesso mi sentii preso per i fondelli e ciò non fece che accrescere la mia depressione.
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