L’acquisto di un libro dipende da molti fattori: il nome dell’autore, la lettura di una recensione, il consiglio di un amico ecc…Talvolta anche dal semplice stato d’animo. Come nel presente caso. Una giornata triste, una copertina con un volto triste ed un titolo triste: Il senso del dolore di Maurizio de Giovanni, Fandango 2007. Che tristezza! Non potevo che acquistarlo…

“Napoli, 1931. Marzo sta per finire, ma della primavera ancora nessuna traccia. La città è scossa dal vento gelido e da una notizia: il grande tenore Arnaldo Vezzi- voce sublime, artista di fama mondiale, amico del Duce- viene trovato cadavere nel suo camerino al Real Teatro di San Carlo prima della rappresentazione di Pagliacci. La gola squarciata da un frammento acuminato dello specchio andato in pezzi. A risolvere il caso è chiamato il commissario Luigi Alfredo Ricciardi, in forza alla Squadra Mobile della Regia Questura di Napoli. Investigatore anomalo, mal sopportato dai superiori per la sua insofferenza agli ordini ed evitato dai sottoposti per il carattere introverso, Ricciardi coltiva nell’animo tormentato un segreto inconfessabile…”

Luigi Alfredo Ricciardi, commissario della squadra mobile della Regia Questura di Napoli ha trentun anni, nove dell’era fascista. Un bel ritratto all’inizio del capitolo secondo “ Luigi Alfredo Ricciardi era di statura media, magro. Scuro di carnagione, gli occhi verdi che spiccavano nel viso; i capelli neri, pettinati all’indietro e fissati con la brillantina, liberavano talvolta un ciuffo che gli attraversava la fronte e che lui, distrattamente, metteva a posto con un gesto secco. Il naso era diritto e sottile, come le labbra. Le mani piccole, quasi femminili: nervose, sempre in movimento. Le teneva in tasca, consapevole del fatto che tradivano la sua emozione, la tensione”. Dunque piuttosto bello, benestante, di famiglia altolocata. Eppure praticamente senza amici, senza una donna, vive nella grande casa patronale di Fortino con

la tata Rosa di settanta anni che ha per lui un amore filiale. Grande lavoratore, cupo, silenzioso, ha allacciato un buon rapporto soltanto con il brigadiere Raffaele Maione. Per Ricciardi “la fame e l’amore sono all’origine di ogni infamia”. Mette soggezione “La voce di Ricciardi era un sibilo, gli occhi verdi piantati in faccia al sovrintendente senza un battito di ciglia”. Quasi al termine del libro l’impressione del portiere di un albergo “Quell’uomo spettinato e bagnato, con gli occhi verdi brucianti di febbre, gli faceva paura”. Caratteristica peculiare che colpisce sono proprio gli occhi. Se ne rende conto anche Don Pierino, uno dei protagonisti principali “E quegli occhi, quegli occhi avevano raccontato tanto. Don Pierino, abituato a cercare e trovare la verità dietro l’espressione, aveva avuto l’impressione di affacciarsi su un panorama multiforme”. Occhi pieni di un dolore vecchio ma sempre vivo, una “personalità complessa e travagliata”. Dolore sì, ma anche intelligenza, ironia e sarcasmo. Cammina con passo veloce, la testa incassata fra le spalle. Mangia chino sul piatto “a bocconi rapidi, silenziosi”. Pessimo rapporto col superiore Angelo Garzo che “avrebbe fatto a meno di quello strano uomo silenzioso, gli occhi come coltelli, senza un amico, mai una confidenza, che a quanto si diceva non aveva affetti né particolari inclinazioni sessuali”. Non ama l’opera e non capisce come una finzione possa procurare emozioni e sentimenti forti. A giorni alterni sfogliatella e pizza. Preferisce i morti ai vivi. Dicono sempre la stessa cosa ma almeno parlano. “I vivi invece ti guardano e tu non sapevi che cosa stessero pensando. Soprattutto le donne”. Chi lo osserva con un certo interesse è Livia Lucani, la vedova del morto “Le ricordava uno smeraldo non incastonato, freddo e indifferente, ma attraente e incantevole”. Il suo momento più bello della giornata è vedere dalla sua finestra

la signorina Erica che nella casa di fronte che ricama con la mano sinistra “Gli faceva tremare il cuore”. Sua posa caratteristica: “mani nelle tasche del soprabito, gambe lievemente divaricate e un  ciuffo di capelli sulla faccia”. Non crede al destino ma agli uomini e alle loro emozioni. Nella memoria fissa “l’atteggiamento, l’espressione, la passione di chi parlava: l’emozione che emergeva e soprattutto quella che rimaneva sotto

la superficie. Sentiva, insomma, più che ascoltare”. Consapevole dei problemi della città ma anche consapevole “dell’impossibilità di cambiare lo stato delle cose”.

Da risolvere alcuni elementi che non hanno senso: un cappotto pulito sopra il divano sporco di sangue; la sciarpa bianca a terra immacolata; il cuscino a righe anch’esso pulito; la finestra aperta e la porta chiusa. E perché il solco di una lacrima sul cerone del grande tenore?

Il romanzo si svolge per storie parallele. Stile pacato, lineare, attento ai dettagli, senza troppi sobbalzi a tenere bilanciato un ritmo lento e doloroso. Spunti sul regime fascista che tendeva a coprire i lati oscuri della società “Nessun delitto, solo sicurezza e benessere di regime: così era sancito per decreto”. Qualche insistenza di troppo nel definire i contorni del commissario. Meglio se più sfumati. Un buon libro da leggere. Che avrà senz’altro un seguito. Ci potete scommettere.

 

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it