Il sottotitolo rende perfettamente l’idea che mi sono fatta del libro. Un bel libro. A partire dalla copertina nera in cui campeggia una fotografia in bianco e nero. Si vede una ragazza posta sulla destra di una strada sfocata con le braccia lungo il corpo che pare nello stesso tempo smarrita e decisa. Una forte impressione, un forte impatto emotivo.

Si tratta di Uno sbirro femmina di Silvana La Spina, Mondadori 2007.

“Catania, prima messa del mattino nella chiesa degli Angeli Custodi. Un ragazzo si alza, avanza, uccide il parroco e poi fugge. Poco dopo viene trovato a scuola. Non nega il delitto, lo giustifica. “Era iarrusu” afferma. Possibile? Pedofilo proprio quel prete in lotta contro la violenza e il degrado del quartiere Angeli Custodi? Don Jano Platania, la cui fama si era sparsa ben oltre i vicoli intorno alla parrocchia?

Maria Laura Gangemi, commissario di polizia, non riesce a crederci. Eppure fatica come non mai a concentrarsi sulle indagini. Suo figlio Andrea è in coma all’ospedale Cannizzaro, investito da un TIR la sera prima….” Ed è amico dell’assassino, nipote di don Nitto Torrisi che, da vecchio uomo d’onore, controlla tutto il quartiere. Una brutta gatta da pelare.

Maria Laura Gangemi: commissario di polizia di Catania non le manda a dire dietro. Critica la società dei mariti violenti, della Mafia  (Don Nitto Torrisi), della Chiesa come apparato in contrasto con la chiesa militante di don Jano Platania (un disobbediente per Monsignor Corrao) ucciso dal figlio di un boss, di Catania, dei siciliani tutti “ che vedono nel caffè la panacea di tutti i mali”, della Sicilia dei soprusi e del voto dato dietro compenso, dell’Italia “delle vallette, delle sceneggiate politiche, degli inciuci, delle arroganze, delle prepotenze, delle minacce e dei ricatti, delle feste napoleoniche sui panfili dei finanzieri che si mangiavano le nostre finanze a morsi”, critica anche verso se stessa come madre lontana dalle esperienze del figlio. Vita sfortunata con il marito Attilio. Solo insulti e botte. Ricordi del figlio Andrea all’ospedale perché travolto da un Tir “Andrea è una testa ricciuta, un sorriso, una recita scolastica, una mano nella sua al funerale di Attilio”. Ricordi di quando era incinta e bella, con il vestito sciolto ed i capelli lunghi e lisci, le spalle scoperte e lucide di crema. Ma tutto è cambiato.

Donna forte, coraggiosa questa

Maria Laura che incute anche un certo timore “Ma a guardarla negli occhi smarrì. C’era qualcosa in quella donna, in quello sguardo duro come pietra che lo fece tremare”, “Capì che non si sarebbe scansata, che l’avrebbe messo realmente sotto le ruote se non si fosse levato, e non solo in senso metaforico”.  Ad un certo punto “batté un pugno sul tavolo dell’ingresso facendo sobbalzare l’intera centralina con i telefoni”. Non sopporta le vittime prima ancora dei carnefici perché “non c’è carnefice senza vittima, e non c’è vittima senza carnefice”. Per lei la statua che rappresenta Il ratto di Proserpina pare che porti impresso il destino delle donne della città “Rapite, sottomesse, usate”. Momenti di fatica, di debolezza, di paura. Piange e trema. Tradisce (direi forzatamente) il marito violento con un collega giovane e carino. Incomincia a bere, in cura da una psichiatra. Cerca di ricucire il rapporto con il figlio, ha bisogno di un altro essere umano. C’è sempre un filo di speranza nella vita. In fondo al libro quando lei è vicina al figlio al letto dell’ospedale “ Una mano in quel momento si posò sulla sua spalla. Una mano solida, grande. Non c’era bisogno di chiedere: sapeva a chi apparteneva”.

Lo stile di Silvana La Spina è asciutto, essenziale, non una parola di troppo. La critica alla città e alla società in generale non danneggia il racconto ma nasce spontanea e vera dalla sofferenza stessa della protagonista.

 

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it