Non vedo satire in giro, né frustatine, né pizzicotti, né piccoli sberleffi sul mondo del giallo in generale. Qualcosa che colpisca in modo giusto e faccia ridere o sorridere. Tutto è serio, tutto è rigido, tutto (o quasi) è plumbeo. E questo un po’ mi preoccupa. Non vorrei che succedesse quello che è successo nel campo degli scacchi quando un certo Tamerlano su una nota rivista ha tirato qualche sciabolata qua e là. Apriti cielo! E’ stato attaccato da tutte le parti prendendo, magari a pretesto, lo pseudonimo sotto cui si celava. Non so, sarà una mia impressione, ma certi tipi che girano nei due mondi hanno delle facce da puzza sotto il naso che te li raccomando.

Prendiamo le interviste. Che si trovano da tutte le parti. Molte sono belle e interessanti. Fanno scoprire l’anima vera di scrittori di razza. Con la S maiuscola. Fanno pensare, riflettere. Ma anche qui il loro numero diventa sempre più abnorme, inflazionato. E allora si assiste a delle cose assurde. A degli esseri umani (lo sono anche loro), maschi e femmine non c’è differenza di sorta, che, per avere buttato giù due o tre libretti si sentono arrivati, macerati, sdilinquiti dal lavoro che fanno. Tutti presi dal sacro fuoco della ispirazione. E giù a parlare, a scavare, a sviscerare  come piccoli Proust. Intanto hanno la scrittura nel sangue. Sin da piccoli quando frequentavano le elementari. O addirittura nella placenta di mamma. Un imprinting naturale. In mancanza di questo il Destino. Che so una notte che non riuscivano a dormire si sono messi a leggere un capolavoro della letteratura poliziesca. Fulminati come Sant’Agostino lungo la via per Damasco. E da allora si sono buttati a scrivere a corpo morto perché la parola scritta ha un potere che dura nel tempo. E’ vita e libertà. E’ Poesia. Oppure hanno iniziato quasi per gioco. Scriviamo qualcosa? Dai che ci divertiamo! Ed il gioco è diventata una vera, incontrastata passione che li avvince tutt’ora e li avvincerà (purtroppo) per sempre. E come nasce un libro? Ma da un’idea, naturalmente. Che si fa strada piano piano (o prepotentemente a seconda dei vari temperamenti) nell’animo del prediletto di Dio che la plasma come uno scultore. Oppure semplicemente perché si sente l’urgenza di scrivere una storia che si sarebbe voluto leggere ma che ancora non c’è (su qualche miliardetto di storie). Oppure…oppure… Un mistero della vita. Come ce ne sono tanti a cui non è possibile dare risposta. E i personaggi? Come sono stati creati? Un lavoro lungo, difficile, una ricerca affannosa, quasi disperata. Stremati anche nel fisico. Figurati

la psiche. E l’ambientazione? Quella poi. Da sfibrare le tempre più forti. E poi la critica alla società. E la filosofia che sorregge tutto l’impianto. Una faticaccia. Via non ne parliamo. E il rapporto con i propri libri (meglio ancora con il proprio, unico libro) ? Li amo tutti. Sono come figli. Per loro darei

la vita. E così via fino all’ultima, angosciosa domanda rivolta con lo stesso pallore sul volto che segnava l’attesa del responso delle antiche Sibille. E che cosa c’è nel cassetto? Con l’inevitabile, terribile risposta. Questa volta non ambigua (ibis redibis non…). Ma chiara, sicura, decisa. Nel cassetto c’è sempre pronto un nuovo libro, un nuovo progetto. Mai nessuno che ci rassicuri. Che ci faccia tirare un sospiro di sollievo. Che dica basta. Ho finito qui. Nel cassetto non c’è più niente.

Allora lo diciamo noi. Basta!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! E vi diamo fuoco al cassetto.

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