– Oh, una storia di piccolo conto, limpida come un cristallo. La signora portava nella sua borsa da viaggio alcune cose datele in custodia dal gentiluomo che l’ha accompagnata alla stazione e che è suo marito.– Denaro?– No, qualcosa di più prezioso.

– Brillanti?

– Più preziosa ancora.

– E cioè?

– Carte diplomatiche relative ai destini dell’impero. E appunto per carpire questi documenti era stato preparato un attentato ferroviario.

– Un attentato ferroviario?

– Già. Avete notato il pallore dell’aiutante del macchinista?

– Sì, quell’uomo stava male. Volevo anzi soccorrerlo ma non me lo avete permesso.

– Non era ammalato ma ubriaco fradicio. Puzzava di acquavite a un miglio di distanza. Ho subodorato subito l’intrigo. Non vi sembra infatti strano che un uomo che ha nelle mani la vita di centinaia di persone sia ubriaco fradicio? La cosa mi ha colpito subito e mi sono messo a dipanare la matassa di cui avevo trovato il bandolo. L’aiutante del macchinista era stato fatto ubriacare! Mi chiederete da chi… Da quel losco figuro con la barba rossa, vestito malamente, che era entrato nella nostra carrozza di prima classe. Il malfattore aveva dato una moneta al controllore: essi e il macchinista avevano ordito il complotto.

– Ma il controllore non ebbe che un pezzo da cinquanta copechi! Credete che si sia venduto per così poco? E poi anche in Russia i controllori ricevono mance di tale importo!

– Watson, voi mi siete stato utile in molte vicende, ma adesso ragionate come un ragazzino. Certo non era quello il compenso stabilito per il controllore. Era invece un segnale che lo avvertiva come il disastro sarebbe avvenuto di lì a cinquanta chilometri.

– Perbacco! – esclamai – Il piano era straordinario. L’uomo con la barba rossa avrebbe approfittato della confusione che sarebbe seguita al disastro per impadronirsi della sacca da viaggio della contessa.

– Cominciate a capire. E ora intenderete anche perché ho voluto scendere a Zarskoie Selo e continuare in carrozza.

– Avete salvato la contessa, e noi stessi…

– E tutti i viaggiatori, giacché scesa la signora, non vi era più ragione di commettere il terribile crimine. Difatti il treno è arrivato a Pietroburgo senza incidenti di sorta.

– Siete un grand’uomo!

– Ma il pericolo non era cessato ancora. Siamo scesi a Zarskoie Selo, inseguiti dai nostri nemici e dall’odio del professor Moriarty. Oh, il mio avversario aveva previsto tutto! L’ufficio della posta non aveva più carrozze; abbiamo ottenuto una troika solo quando ho promesso e dato cinque sterline. Poi il cocchiere ha tentato di farci ribaltare nel fiume; se non avessi impugnato la rivoltella e minacciato di morte quel lestofante, adesso dormiremmo il sonno eterno in fondo al fiume… e la sacca da viaggio sarebbe nelle mani dei persecutori della contessa. Ma non è tutto. Allorché ho voluto uscire con voi per recarci a prendere il baule alla stazione, ho visto nel guardaroba il mantello dell’uomo con la barba rossa…

– Come lo avete riconosciuto?

– Non mi sfugge nulla, caro Watson. Vi ho mandato alla stazione e io sono restato qui per continuare le indagini. Ho appreso come il figuro si chiamasse Fifrakoff. E’ sceso in questo albergo e ha fissato una camera vicino alla nostra… o meglio a quella della contessa. Volete vederla? La chiave è nella serratura e lui è uscito.

Entrammo nella stanza dello sconosciuto. Sherlock Holmes picchiò con le nocche sulla parete che divideva la camera del Fifrakoff da quella della contessa.

– Udite come risuona? Qui c’è un vuoto, di certo una porta segreta che immette nell’altra stanza… non vi è dubbio… Passerò la notte nella camera della signora, vedremo se vi è qualcuno capace di sconfiggere Sherlock Holmes!

Io ero sbalordito. Mai prima il genio del mio amico aveva brillato di tanta luce!

La contessa acconsentì che Sherlock Holmes passasse la notte nella sua camera; sembrava che sapesse bene di non correre alcun pericolo! Io mi gettai vestito sul letto, con la rivoltella a portata di mano, ed attesi, pronto ad accorrere in aiuto del mio amico al suo primo grido. Ma la notte trascorse tranquilla.

Verso le otto del mattino seguente, Sherlock Holmes entrò nella mia camera. Sul suo volto si leggeva un turbamento insolito. Mi disse:

– Ah, dottor Watson, se sapeste che razza di contesse ci sono in Russia!

A quel punto fece chiamare il segretario dell’albergo.

– Conoscete la signora del numero sedici? – gli chiese.

– La conosco benissimo– rispose il segretario.

– Chi è?

– Beh, è una… entraineuse parigina.

– Come, una entraineuse? Vi sbagliate. E’ una contessa arrivata qui in incognito, per non andare nel suo palazzo…

– E’ una mondana, vi dico, e non ha mai avuto nemmeno una casupola. Alloggia in questo o quell’altro albergo, più spesso nel nostro. In questi giorni è stata ospite del conte Zamorski. E’ una mattoide. Ricordo che non molto tempo fa provocò qui una tale gazzarra da far accorrere la polizia. Il conte l’ha invitata nei suoi poderi per un paio di settimane. E’ celibe, solo, e corre la cavallina….

Sherlock Holmes corrugò le ciglia.

– Non sono un bambino – disse – e non credo alle vostre favole. Vi sembra ammissibile che un conte accompagni una donna di malaffare alla stazione nella propria carrozza con tanto di stemma e con il proprio servitore a cassetta?

– Ci crediate o no, è certo che Lolotte è stata ospite del conte.

Il mio amicò se ne andò molto irritato, e mezz’ora dopo ritornò insieme con un ispettore della polizia segreta. Parlavano vivacemente. Sherlock Holmes mi presentò al russo e poi riprese il filo del discorso.

– Dunque – chiese al poliziotto – voi non sapete nulla dell’attentato che è stato tramato contro il treno.

– No, niente. Del resto non credo a quello che dite.

– Perbacco, ho veduto con questi miei occhi l’aiutante del macchinista barcollare e quasi stramazzare a terra, tanto era ubriaco fradicio!

Il russo si mise a ridere.

– Caro Holmes, da noi si ubriacano non solo gli aiutanti dei macchinisti, ma persino i macchinisti stessi!

– Non vi state prendendo gioco di me?

– Nemmeno per sogno.

– Va bene. Ma come spiegate allora questo?– e Sherlock gli narrò il caso del cocchiere.

– Ecco, vedete, il cocchiere si prendeva a cuore la vostra sorte. Il ponte era provinciale, e in Russia i ponti provinciali sono in tale stato che si corre meno pericolo a guadare il fiume che a passarvi sopra.

– Ma perché non riuscii ad avere una carrozza all’ufficio della posta?