In una delle mie ultime scorribande nelle librerie di Siena mi sono ritrovato fra le mani Non piangete per chi ha ucciso di Ross Macdonald pubblicato da Hobby and Work 2006. Ho cominciato a sfogliarlo quando, alzando la testa per una pseudoriflessione sull’autore, sono stato colpito da un altro Macdonald che mi faceva l’occhiolino più in alto da una smagliante copertina rossa. Si trattava di Philip Macdonald autore, in questo caso, de “La strana fine di Mr. Benedik” della Polillo editore. Poi un improvviso lampo mi ha riportato alla mente che avevo conosciuto, forse, nei tempi “antichi”, un altro autore con questo non del tutto originale cognome. Un certo John D. Macdonald. Ed ecco formato il trio Macdonald.
A casa ho cercato di mettere a posto le cose per non entrare in crisi cognitiva. Sono partito dal più vecchio: Philip Macdonal (1899-1981) che è poi quello che conosco meglio. O almeno penso di conoscere meglio. Il problema è la materia prima e anche quando c’è è sempre un problema. Mi spiego. Sono un asmatico. Un asmatico che combatte quotidianamente con i maledetti dermatofagoidi, acari ributtanti che si trovano dappertutto. Soprattutto tra le pagine dei libri. E che sono causa prima di questa malattia. Ogni anno sono costretto a sfoltire la mia biblioteca di decine e decine di volumi di vario genere, tra cui anche i gialli, per non tirare il calzino tra fischi sibilanti (Il loro posto, però, viene preso da altri libri che acquisto e quindi siamo punto e daccapo…). Ne ho lasciati con il groppo in gola certamente più di un migliaio durante tutta la mia vita. E dunque spesso faccio affidamento sulla memoria quando voglio parlare di qualche personaggio o autore. Ma anche se riesco a scovare i testi che mi interessano devo stare attento, molto attento. Per esempio a non sfogliarli subito e al chiuso. Insomma occorre seguire certe regole per “fregare” gli acari maledetti. Un amore rischioso il mio, un po’ come quello della mantide religiosa maschio che se non scappa in fretta dall’amplesso amoroso con la compagna rischia di perderci, letteralmente, la testa.
Ma tant’è. Ritorniamo a noi. Dicevo di Philip Macdonald uno dei primi inglesi a trasferirsi ad Hollywood, scrittore di sceneggiature per il film della serie Mr.Moto e Charlie Chan. Il suo primo successo arriva con “The rasp” (“Campana a morto”) nel 1925 dove compare il colonnello militare Anthony Gethryrn, che gli assomiglia (anche l’autore ebbe una discreta esperienza militare), protagonista di una serie di romanzi. In genere il suo è il classico giallo di competizione con il lettore che ricorda quello di Ellery Queen. E si cimenta anche con il classico rompicapo della camera chiusa (vedi “The Choice”). Spettacolare “I nove volti dell’assassino” da cui fu tratto il film “I cinque volti dell’assassino” forse perché nove erano decisamente troppi. Per non venire a noia al pubblico dei suoi lettori usa diversi pseudonimi come Oliver Fleming, Anthony Lawless, Martin Porlock. E’ entrato nel guinness dei libri migliori selezionati da John Dickson Carr con “La morte è impazzita”. In “La strana fine di Mr. Benedik” tra gli altri, c’è Mr.Matsch, crudele e misterioso personaggio che tratta a pesci in faccia tutti quelli con cui ha a che fare (tenetelo d’occhio!) e la deliziosa Petronella Rickforth. Il libro ebbe un tale successo che fu portato sullo schermo nel 1931 dal regista inglese Michael Powell. Il quale Powell affermava che Philip “Era il migliore scrittore di gialli di quegli anni e, per quanto mi riguarda, uno dei migliori ancora oggi”.
Ross MacDonald pseudonimo di Kenneth Millar (1915-1983) sembra essere nato per suscitare diatribe. Una l’ebbe con John D.MacDonald che lo aveva criticato per l’uso dello pseudonimo John Ross Macdonald usato negli anni cinquanta e perfino per il titolo del suo ultimo libro “Lew Archer e il brivido blu” che si rifaceva alla serie di Mc Gee caratterizzato anch’esso dalla presenza di un titolo “colorato”.
Anche Chandler, sempre negli anni cinquanta, lo aveva attaccato di brutto. In una lettera a James Sandoe del 14 maggio del 1959 massacra “Bersaglio mobile”, il cui stile era troppo ambizioso e troppo letterario. ( A dir la verità Chandler ce l’aveva soprattutto con James Cain che scriveva, secondo lui, sconciamente di cose sconce. In una lettera al solito Sandoe, del 26 gennaio 1944, scrive “Mi ha sempre irritato essere paragonato a Cain. Il mio editore pensava fosse un’idea astuta perché lui aveva avuto un gran successo con The Postman Always Rings Twice, ma qualunque cosa io abbia o mi manchi come scrittore, non sono per niente come Cain. Cain è uno scrittore di quel tipo di faux naif che disprezzo in modo particolare”). Questo Ross Macdonald ha colpito l’attenzione di altri scrittori-critici come Manchette che, invece, lo rivaluta. In “Le ombre inquiete”, pubblicato da Cargo edizioni nel 2006, dice “Ho cambiato opinione riguardo a Ross Macdonald. Lo lasciavo intendere la volta scorsa. Un certo intellettualismo e la piatta fedeltà al classicismo chandleriano, in particolare alla sua figura stilistica più debole-la comparazione immaginosa-, infine la monotonia dell’intreccio, risultano di primo acchito scoraggianti. Alla fin fine, però, è proprio questa monotonia che affascina- in quanto ripetizione. La ripetizione è la chiave di Ross Macdonald…”. Comunque sia Ross Macdonald è l’ideatore del famoso detective Lew Archer che fa la sua comparsa nel 1949 in “The moving target” diventato un film nel 1966 con Paul Newman (Harper). Sulle stesse strade di Santa Teresa (oggi Santa Barbara) lavora Kinsey Millhone, una investigatrice privata nata dalla penna di Sue Graft. Da seguire con attenzione.
A proposito dello stile del Nostro ecco alcuni spunti che ho ricavato dalla lettura del citato “Non piangete per chi ha ucciso” definito dal noto critico Anthony Boucher
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