Ringraziamo l'autore dell'inserto Cultura del quotidiano Il Giornale di Caserta, Andrea A. Ianniello, per aver dedicato un lungo articolo - uscito il 13 agosto scorso - alla nostra pubblicazione periodica su carta e consorella di questo sito. Riproponiamo qui di seguito, per tutti i nostri lettori, l'intero articolo in questione intitolato Il ''classico'' giallo inglese.
"C’è una rivista che raggruppa la gran parte degli argomenti relativi al giallo classico all’inglese, con attenzione particolare alla sua icona più significativa: Sherlock Holmes. E’ la Sherlock Magazine, diretta da Luigi Pachì (www.sherlockmagazine.it/home). Il numero che qui si recensirà, dando un’occhiata pure ai numeri precedenti, è il numero 6, che si può trovare al sito: www.delosstore.it/delosbooks/scheda.php?id=22404. Ma, in realtà, non è possibile separare quest’ultimo numero dall’insieme dei precedenti, perché si tratta, in effetti, di un unico discorso. Già, perché ogni numero ha un tema. Particolarmente importante è stato il numero 2, Il Diciottesimo Scalino, una vera e propria enciclopedia della materia “holmesiana”, con una presentazione del giallista Corrado Augias, noto cultore di Holmes (si trova al sito: www.delosstore.it/delosbooks/scheda.php?id=58). Per esempio, c’è stato un numero dedicato ai rapporti fra Holmes e l’Italia, così come un altro dedicato a Holmes e l’America. Si tratta di un riuscito “mix” di articoli, ed anche studi, ed “apocrifi” holmesiani, cioè storie che hanno come protagonista Sherlock Holmes ma non scritte da Conan Doyle. Il termine giusto sarebbe “pastiche letterario”, ma bisogna dire che c’è il “Grande Gioco”, dove si reputa che Holmes sia esistito realmente. Tra i primi ad iniziare questo Gioco vi fu un reverendo che introdusse il linguaggio religioso tra gli appassionati di Holmes. E dunque c’è il “Canone”, i racconti scritti effettivamente da Conan Doyle con Sherlock Holmes e il dottor Watson protagonisti, e ci sono gli “apocrifi”: i racconti con Sherlock Holmes e Watson come protagonisti non scritti da Conan Doyle. L’argomento dell’ultimo numero è I nuovi Studi di Holmes. Occorre sapere, ed è una vera “data” della letteratura “gialla”, che la prima opera di Conan Doyle con protagonista Holmes è Uno Studio in Rosso. Così, nell’ultimo numero della Sherlock Magazine ci sono Uno Studio in Verde smeraldo di Neil Gaiman, e Uno Studio in Blu, di Enrico Fortunia, autore premiato in Svezia nel 2005 per un’opera di genere del tutto diverso (che ha in parte riportato sul suo blog). Inoltre, ci sono, come sempre, interessanti rubriche ed articoli dedicati ad altri personaggi del giallo “classico”. Insomma, una rivista “cult” per tutti gli amanti del giallo “classico all’inglese”, di quelle atmosfere, di quel mondo, però aperta a contributi diversi e vari. C’è, nel numero 6, un interessante articolo del direttore su Peter Cushing e la rubrica “Osservatorio holmesiano”, davvero unica. A questo punto, dobbiamo sempre arrivare al nocciolo del problema: perché su Holmes ci sono così tanti apocrifi, che davvero taluni lo hanno considerato reale, che ci sono state lettere recapitate a Baker Street e questo non accade per altri personaggi che magari avranno qualche po’ d’intelligenza meno di lui, ma tale distanza non giustifica il diverso effetto? Holmes è quasi un “golem”, tant’è che Conan Doyle, che pure gli doveva fama e ricchezza (vera), tentò di ucciderlo, cosa della quale gli “holmesiani doc” lo perdonano a stento e solo perché ricominciò a scriverne. Ed è qualcosa di planetario, diffuso su tutta la Terra. Ci si potrebbe scrivere un libro su questo fatto, e il direttore Luigi Pachì l’ha fatto (www.sherlockmagazine.it/rubriche/1921). A mio avviso, si dovrebbe fare un Simposio solo su quest’aspetto. A parte moltissime considerazioni, giustissime, che si sono fatte da più parti e dallo stesso direttore della Rivista, ho una mia teoria, che qui si potrà soltanto accennare. Per quel che mi riguarda, Holmes è una maschera. E’ cioè uno dei pochi personaggi che ha una valenza “mitica”, che è come Pulcinella, Arlecchino o, letterariamente, Faust o Don Giovanni, cioè personaggi pienamente emancipati dai loro creatori, personaggi che hanno una vita propria. Di questo Conan Doyle era dolorosamente consapevole, tant’è che tentò di uccidere Holmes, però senza riuscirci davvero. Sviluppò, così, un rapporto di amore-odio verso quel personaggio che gli aveva donato fama e ricchezza ma che ormai viveva di forza propria. Quando il reverendo che ha inserito il linguaggio religioso in quest’opera letteraria scrisse a Conan Doyle come se Holmes fosse davvero vivo, Conan Doyle, che come carattere era l’opposto di Holmes, gli rispose pensando ad uno scherzo e stando allo scherzo. Ma il reverendo rispose a Conan Doyle in tono serio. Conan Doyle stesso, allora, non gli rispose più, ma si rese conto che Holmes aveva preso vita propria. Dovette capirlo in quel momento. Peccato che Conan Doyle non avesse la mente giusta per comprendere che le maschere, i personaggi “mitici” debbono aver vita propria, ed è giusto così".
Andrea A. Ianniello
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