I tempi cambiano: “TEN LITTLE NIGGERS” di Agatha Christie – che in italiano è tradotto in Dieci Piccoli Indiani per restare nel politically correct; e mi pare pure giusto -, sono ora diventati Dieci piccoli sette nani.
Fin dal nuovo titolo di questa prova, offerta alla memoria di Elena Bellini, può intuirsi la novità data in pasto, è il caso di dirlo, ai lettori-consumatori.
Ci sarà da divertirsi? La risposta giunge presto, dinanzi al variegato cast dello show affabulatorio de quo, uno show in vero molto ben documentato circa la produzione dell’indiscussa regina del giallo e per questo ancor più godibile dai frequentatori del genere.
La domanda si genera spontanea: che ci fanno Poirot, Wilma de Angelis – sic! -, Platinette, Pavarotti e Andrea G. Pinketts nello stesso libro?
E quella buona forchetta di Antonella Clerici? perché è rimasta fuori? Mistero.
Sulle prime non si capisce bene e bisogna dunque procedere per ipotesi, come richiesto dal consolidato paradigma di ogni buon giallo, che non è fatto solo di vittima, movente, arma e colpevole, ma soprattutto di tesi investigative da convalidare.
Scorrendo le pagine, perdendosi nel groviglio pirotecnico della trama, si giunge alla conclusione che evidentemente deve esserci un filo rosso che lega persone/personaggi anche molto diversi tra loro: la passione per i fatti di sangue, che ha qualcosa di molto prossimo alla passione per il cibo.
Anche gli autori di questo volume devono essere mossi dalle medesime pulsioni primarie, almeno a tener conto del raffinato ricettario che viene incidentalmente proposto ai lettori capitolo dopo capitolo.
In un mondo impazzito, nulla, del resto, vieta che Wilma De Angelis si convinca d’essere Miss Marple e decida di incontrare in Toscana un uomo certo d’essere il famoso Hercule Poirot.
Ma cosa ne penserebbe Agata Christie? Non lo sapremo mai.
Quel che è certo è che trattasi – come prontamente notato in prefazione – di un libro da tea room, cioè per luoghi letterari profumati di vaniglia.
Di nuovo, balza all’occhio l’intento giocoso – vorrei dire goliardico – degli autori di farsi beffa di un genere che forse oggi è un tantino fuori moda.
Una cosa è certa: “Dieci piccoli sette nani” è il romanzo più stralunato che è passato sulla mia scrivania negli ultimi anni.
Un libro che può anche non piacere, costruito com’è per scatole cinesi dentro cui si rischia di smarrirsi un po’; ma se piace, diverte, questo anomalo, surreale giallo postmoderno.
Il piacere della lettura c’è di sicuro. Ma la voglia di alzarsi dal letto e raggiungere un buon ristorante alla fine ha il sopravvento, perché in questo romanzo tutto è cucina e perfino le facce dei personaggi sono rotonde come un tegame.
Nulla si crea e nulla si distrugge. Soprattutto davanti ai fornelli, ogni cosa è destinata a trasformarsi.
Lucio Nocentini & Alessandra Ruspoli, Dieci piccoli sette nani (stricnina q.b.), Addictions, pagg. 214, Euro 14,00
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