Per l’esecuzione della sua opera, che è quella di individuare l’assassino, partendo spesso e volentieri proprio dalla scoperta del come ha fatto a compiere il delitto, l’investigatore è guidato da una serie minuziosa di indizi, sparsi a caso, o sapientemente nascosti tra le pieghe degli accadimenti narrativi. Uno degli indizi più usati e fortemente privilegiati da un certo tipo di autori è il messaggio apparentemente indecifrabile, che va decriptato, per consentire al detective di turno di imboccare la strada giusta per la prosecuzione delle indagini e l’individuazione del colpevole. E così assistiamo a un fermento brulicante di microscopiche tracce opportunamente sparse sulla scena del delitto, più o meno occultate, più o meno rivelatrici, che vanno dai mozziconi di sigarette, alla cenere di sigaro, ai petali di un fiore, dai segni di orme sospette su un cespuglio di rose, o su un vialetto infangato, ai pezzi di carta bruciati nel camino, o ai bottoni o fili strappati di indumenti, fino alle più banali orme insanguinate. Alcuni di questi indizi disseminati a bella posta possono essere a volte ingannevoli, disposti ad arte per ingannare il lettore e con lui l’investigatore di turno. Altri invece, come vedremo spesso in un certo tipo di autori particolarmente affezionati a questo tipo di stratagemmi, rappresentano un messaggio preciso per l’investigatore, lasciato a bella posta dalla vittima per instradarlo nella direzione giusta. Si tratta di indizi che hanno una loro particolarità ben precisa, indizi, come dire, rivestiti di significato, al di là della loro reale apparenza, che l’investigatore deve saper interpretare e distinguere, svelandone la chiave cifrata. Spesso la vittima in punto di morte lascia dei segnali, strane scritte incise sul pavimento, segni tracciati con il sangue, ciuffi strappati a un cespuglio, verso il quale si è trascinata morente, bottoni o fili di indumenti strappati al suo assassino, file di piccoli oggetti disposti simmetricamente, scarpe slacciate, oggetti racchiusi nel pugno serrato, ciuffi di capelli, particolari posizioni assunte dal corpo, nel tentativo di trasmettere in extremis un codice cifrato, una specie di sciarada, o di rebus, che l’investigatore, e con lui il lettore, deve saper risolvere. A partire da questo messaggio cifrato lasciato dalla vittima, spesso il detective è in grado di ripercorrere all’indietro la sequenza delle tracce, e decodificare il segnale, arrivando non solo all’identificazione del colpevole, ma anche alla sua incriminazione, sulla base delle prove, o meglio dei messaggi, lasciati dalla vittima. In alcuni casi però le informazioni trasmesse debbono essere giocoforza parziali o fuorvianti, perché nemmeno l’assassino deve essere in grado di riconoscere il messaggio, né tantomeno di indovinare che un qualche tipo di segnalazione sta per essere lanciato. Questo si verifica nelle contingenze in cui le forze investigative appaiono in differita sulla scena del delitto, che è rimasta per lungo tempo a piena disposizione dell’assassino, che tradizione vuole, non deve poter riconoscere i segni, se no ovviamente li eliminerebbe dalla scena prima di abbandonarla. Si tratta dunque di una comunicazione enigmatica che passa dalla vittima all’investigatore, e che si ritrova spesso nei meccanismi del giallo classico d’hoc. A volte poi il messaggio misterioso è tale da risultare di oscuro significato per chiunque tranne che per il suo reale destinatario, e in questi casi non solo non è occultato ma è addirittura estremamente vistoso. Si tratta qui evidentemente di avvertimenti che vengono lanciati a testimoni, o a persone che comunque sono a corrente di qualche segreto tenebroso e oscuro, intimamente collegato col delitto. Tra gli affezionati di questo sorprendente meccanismo narrativo troviamo ovviamente Sir Arthur Conan Doyle che mette spesso a confronto il suo eroe investigatore di Baker Strett, il sempre impagabile Sherlock Holmes, con vari enigmi e messaggi misteriosi, cifrati o non, lasciati a bella posta per indirizzarlo o depistarlo, a seconda dei casi. Vedi i I pupazzi ballerini, mutuato a sua volta da Lo scarabeo d'oro di Edgar Allan Poe, I cinque semi d'arancia, Il cerimoniale dei Musgrave, I signori di Reigate o il celeberrimo antesignano dell’intero genere Uno studio in rosso. Come nel caso già visto dei Misteri della Camera Chiusa, il messaggio occulto rappresenta una vera sfida intellettuale tra l’autore e il lettore, un gioco cerebrale di astuzia e di sagacia, dove l’autore si cimenta in spericolate acrobazie nel tentativo di raggiungere il duplice intento di portare il suo investigatore alla brillante soluzione del caso, riuscendo nel contempo a stupire con mirabolanti effetti speciali il suo assiduo lettore, che, non dimentichiamolo, più viene sorpreso e meravigliato, e più rimane fedele al suo autore. Anche qui però i virtuosismi raggiunti dai vari scrittori nel tentativo di scavalcarsi l’un altro studiando sempre nuovi e più improbabili espedienti, portano fino al parossismo estremo. Quello che era in origine un semplice ingrediente narrativo e niente di più, diventa spesso il fulcro stesso dell’intera avventura, annullando quasi completamente la trama e l’intreccio in favore di pochi, ma brillanti, fuochi d’artificio mirabilmente eseguiti.
Così il collaudato meccanismo del messaggio enigmistico comincia a logorarsi implacabilmente, al punto che alcuni autori tentano di sperimentare nuove strade, come nel caso di Ellery Queen nel caso del Quattro di cuori, dove viene introdotta una curiosa variante, e il lettore risulta informato della decodifica del messaggio anticipatamente, di modo che non ha nulla di indovinare, ma risulta comunque incuriosito dall’enigma. In ogni caso per molto tempo questo espediente continua ad essere sfruttato con un certo successo, nelle sue innumerevoli varianti che possono essere brevemente identificate in alcune suddivisioni canoniche. Esistono i messaggi occulti, comunicazioni riservate indirizzate specificatamente a un determinato destinatario, che possiede lui solo la chiave di lettura per poterli comprendere e interpretare, visibili ma incomprensibili dunque per tutti gli altri, che spesso oltre a non individuarne il senso non ne indovinano nemmeno la presenza. Ovvero li scambiano per banali indizi e non per messaggi codificati. C’è poi il caso opposto in cui il messaggio è consapevolmente un indizio, rivolto a vari tipi di destinatari, di cui però solamente alcuni saranno in grado di comprenderne la chiave risolutiva e di interpretarlo correttamente nel suo giusto significato, al di là delle semplici apparenze, conferendogli l’importanza e la valenza esatta per determinare la soluzione finale dell’enigma.
In Dieci Piccoli Indiani Agatha Cristhie usa una serie di messaggi che hanno lo scopo di provocare una sorta di comportamento predestinato delle vittime, che si prestano al facile gioco dell’assassino proprio interpretando i segnali così come lui aveva previsto, una sorta di trappola insomma, in cui le povere vittime cadono inconsapevolmente. Raffinato gioco di arguzia psicologica per falsi indizi dal contenuto volutamente ingannevole. Contenuti, abbiamo visto, invece schiettamente genuini, ma a volte oscuri, per le comunicazioni occulte lasciate dalle vittime in punto di morte, che dedicano i loro ultimi aneliti di vita al tentativo di lasciare delle tracce nascoste, o criptate, per identificare chiaramente il loro assassino. Codici che se non riconosciuti, o compresi, risultano perfettamente inutili. Ed è qui che subentra il gioco intellettivo dell’investigatore contro il lettore. Infine la ricca serie dei depistaggi, ossia i falsi indizi o messaggi costruiti a bella posta dall’assassino per portare l’investigatore fuori strada, attirando la sua attenzione verso segnalazioni artefatte e precostituite a bella posta, volutamente false ed ingannevoli. Orologi rotti per fissare l’ora del delitto in un momento differito da quello reale, messaggi per così dire apocrifi, che sembrano lasciati dalla vittima, ma che invece sono stati dal colpevole, false indicazioni o scritte ambigue, create appositamente per depistare in un colpo solo detective e lettore.
Come in Uno Studio in Rosso di Conan Doyle e nel La forma errata di G. K. Chesterton. Rimane poi il messaggio enigmatico principale, il medesimo racconto giallo, che come ogni avventura poliziesca che si rispetti, non è altro che un gigantesco codice dove lettore e scrittore comunicano attraverso una sorta di linguaggio cifrato, ma questa volta è l’autore a spargere bricioline di indizi a beneficio del lettore, che però spesso è destinato a comprendere la decodifica solo alla fine, quando lo scrittore benevolo si decide a svelare il meccanismo e le motivazioni del crimine, salvo poi offrirgli la possibilità di ripercorrere all’indietro le tracce sapientemente disperse per verificare che, anche se non le abbiamo viste, effettivamente esistevano. Insomma come diceva Conan Doyle, “Dopo aver eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verià”.
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