Si avvia ormai verso la conclusione la rassegna Giallo su giallo, organizzata dal circolo cinematografico mantovano il Cinema del Carbone. La pellicola proiettata giovedì 21 aprile, I fiumi di porpora di Mathieu Kassovitz, è stata scelta e presentata in sala da Alessadro Perissinotto (L’anno che uccisero Rosetta, La canzone di Colombano, Treno 8017, Al mio giudice). A seguire vi presentiamo l’intervista gentilmente concessaci dallo scrittore in attesa dell’inizio della proiezione.

Ricordiamo ai nostri lettori che manca solo una serata al termine della rassegna. Domani, 28 aprile, Maurizio Matrone presenterà infatti Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Sarà l’occasione per un’ultima intervista prima di poter tirare le somme dell’iniziativa assieme ai suoi organizzatori. E ora vilasciamo con l'intervista a Alessandro Perissinotto.

Domanda di rito: come mai ha scelto proprio I fiumi di Porpora?

Ho scelto I fiumi di porpora, non perché io ami particolarmente questo tipo di poliziesco, quanto perché ho un particolare legame affettivo con i luoghi in cui è stato girato e qualche legame professionale con Grangè (Jean-Christophe, l’autore del libro I fiumi di porpora a cui è ispirato il film di Kassovitz, N.d.R), essendo stato uno dei suoi traduttori. Detto questo, nonostante appunto io faccia polizieschi di tipo diverso e ami, forse, polizieschi di tipo diverso, devo dire che ne I fiumi di porpora ci sono una visionarietà, un uso dell’immaginazione che rendono davvero bene cinematograficamente. E poi c’è la figura di Jean Reno che valorizza tutto.

Frugando nella sua bibliografia emergono romanzi assai diversi tra loro. Si va dal giallo a enigma al thriller, dal romanzo storico a vicende di scottante attualità. Ci fornisca una chiave per decifrare una produzione tanto eclettica.

Il fatto è che cerco sempre comunque di utilizzare il poliziesco per poter parlare di altri temi, quindi in alcuni casi funziona meglio il poliziesco a enigma mentre in altri, come nel mio ultimo romanzo, Al mio giudice, la formula migliore è probabilmente quella del noir, di un continuo incalzare di eventi. I temi che mi interessano sono di volta in volta diversi: il valore del lavoro, ne La canzone di Colombano, ad esempio, o la memoria, la valorizzazione della nostra resistenza, in Treno 8017. In Al mio giudice il tema è quello dell’etica del guadagno e della facilità invece con cui i soldi possono trasformare una persona in un assassino.

Quali sono gli autori che l’hanno maggiormente influenzata, sia nella scelta dello stile che nella scelta dei temi dei suoi romanzi? Stando al titolo del suo ultimo libro non può non venire in mente il nome di George Simenon.

Sicuramente, riferendosi al giallo e in particolare al poliziesco europeo che più amo, l’influenza di Simenon è grandissima. C’è il Simenon dei racconti di Maigret, ma c’è anche il Simenon di quelli che lui chiamava i roman-roman, autentici romanzi che hanno comunque uno sfondo poliziesco, ma che però è solamente un pretesto, una struttura su cui poggiano altri temi. E poi i riferimenti sono per esempio, in ambito italiano, Gadda, Meneghello e tutti coloro che hanno utilizzato le lingue regionali dell’Italia per fare letteratura. Nel mio caso, a parte forse l’ultimo romanzo, c’è un continuo miscuglio tra lingua e dialetto… dialetto piemontese.

A proposito della lingua e dell’utilizzo del dialetto, viene a questo punto spontaneo chiedere come si colloca la sua produzione rispetto a quella di Andrea Camilleri?

Camilleri è stato una sorta di battistrada. Io avevo scritto il mio primo romanzo, L’anno che uccisero Rosetta, in uno stile che può ricordare Camilleri, ma in maniera del tutto indipendente da lui, perché antecedente alla sua esplosione. Camilleri aveva scritto alcuni romanzi negli anni ottanta che però non avevano avuto successo. Ripubblicati negli anni novanta, hanno avuto un grande riscontro, ma io avevo già scritto il mio primo romanzo. Dico che ha funzionato da battistrada perché l’editore, Sellerio, che era il mio editore e anche quello di Camilleri, ha visto, probabilmente, un solco aperto.

Curiosando in rete prima di questa intervista mi sono imbattuto nel suo sito web, www.alessandroperissinotto.it. Ho notato che è molto curato e decisamente ricco. Vista anche la tematica del suo ultimo romanzo, mi vien da supporre che il suo rapporto con la moderna tecnologia sia dei più felici. E’ così?

Direi di sì, anche se, purtroppo, il mio sito non ho tempo di curarlo quanto vorrei. Io ho insegnato per anni teoria e tecnica dei nuovi media: il mio rapporto con la tecnologia è un rapporto, in parte, da studioso della comunicazione tecnologica, in parte, da tecnico. Nella mia formazione c’è infatti un diploma di perito elettronico e quindi un passato di appassionato di elettronica nel momento in cui l’informatica si andava affermando. Potremmo dire, in buona sintesi, che si tratta di un rapporto che fa i conti con la contemporaneità: non ho un’idolatria nei confronti di internet, ma farei sicuramente fatica a farne a meno.

Per concludere, può accennarci qualcosa in merito ai suoi programmi per l’immediato futuro? C’è un nuovo romanzo nel cassetto, o, magari, un film tratto da uno di quelli che ha già pubblicato? C’è qualcuno dei suoi libri che considera adatti a una trasposizione cinematografica?

In effetti sto lavorando alla trascrizione cinematografica di Al mio giudice. Qualche interessamento c’era stato anche per La canzone di Colombano e Treno 8017. Non sono uno di quegli autori che scrivono per la macchina da presa: penso che la scrittura cinematografica sia qualcosa di molto diverso e che il romanzo abbia bisogno di nutrirsi di ingredienti che non sono invece utilizzati dalla macchina da presa. Però vedrei bene le trascrizioni di almeno tre romanzi. Nuovi romanzi in uscita… non ce ne sono perché l’ultimo è uscito a novembre del 2004, ma sto scrivendo e sarà un romanzo di ambientazione lombarda.