Non so quanti di voi abbiano potuto superare le difficoltà oggettive nel trovare amici che riescono a sintonizzarsi via satellite sulla BBC1 e farsi registrare la prima tv di Sherlock Holmes and the Case of the Silk Stocking. Sta di fatto che io ci sia riuscito per il rotto della cuffia e, prima ancora che la rete inglese cominci a discuterne animatamente cercherò di portare il mio parere su questa produzione a tutti voi. Iniziamo col dire che il lavoro di Allan Cubitt, di cui vi avevamo già parlato nelle scorse settimane, è di forte impatto emotivo. Ci sono tutti gli elementi per fare di questo apocrifo un grande successo nel tempo. Iniziamo con la figura del detective. Interpretato da Rupert Everett, l’Homes che osserviamo è molto simile a quello che Paget disegnava a suo tempo. Il carisma del detective è ben tangibile durante tutto la storia, il fisico longevo e scattante, il naso pronunciato, il suo modo di agire e pensare che ci fa scordare persino le ottime interpretazioni di Brett si fa presto apprezzare... Holmes stupisce per la sua arguzia e testardaggine, ma non manca di sbagliare per ben due volte; non vogliamo anticipare nulla della storia se non che per le strade di una Londra nebbiosissima si aggira un serial killer che uccide giovani-bene con la passione del balletto e ogni cadavere viene rivestito con l’abito appartenuto alla giovane del delitto precedente. Everett/Holmes è bravo nel muoversi e gestire persino Scotland Yard e Lestrade, come mai avevamo immaginato, ma anche nel travestimento dove non soltanto cambia aspetto fisicamente tanto da non farsi riconoscere da Watson, ma anche nell’improvvisato accento forzatamente francese che lo allontana ancor di più dalla sua vera identità. La storia inizia in un’oppioteca con Holmes in fase di stanca, mentre sulle rive del Tamigi viene ritrovato il primo cadavere. Durante l’ora e quaranta di film, il detective si inietta una volta la sostanza al sette per cento e contro tutte le leggi del canone dice al suo amico: “Elementare, Watson!” Sono certo che si tratta di qualcosa di voluto e non di un errore di produzione perché vi sono moltissimi altri dettagli fedelissimi, come il punto in cui Holmes fissa gli appunti sopra il camino, il modo di trattare la signora Hudson e molto altro ancora... Dicevo che la Londra di questo film è cupa e nebbiosa; difficilmente si distinguono le ombre dalle persone, fin da quando Holmes viene inizialmente “pedinato” da uno sconosciuto, all’uscita dell’oppioteca, per poi rivelarsi Watson, che in questa avventura è in procinto di sposarsi. Interessante anche il rapporto di Holmes con la futura signora Watson, dove, invitato a cena, non manca di fare una disquisizione sul perché non ha interesse a un suo eventuale matrimonio e il rapporto che ha con le donne. Tra i due si instaura comunque un ottimo rapporto e la futura signora Watson aiuterà il detective, conducendo anche un interrogatorio, da un punto di vista più psicologico, nei confronti di una ragazza scampata al serial killer. Il personaggio di Watson è anche questa volta interpretato da Ian Hart, invecchiato di due anni dall’ultima produzione (The Hound of the Baskervilles) e forse per questo meno simile a Sergio Cammariere. Il suo ruolo è comunque molto positivo; sempre coinvolto nella storia in prima persona riesce a essere fondamentale nella parte finale grazie al suo spirito di osservazione, non prima di aver avuto di che ridire con Holmes per una serie di suoi comportamenti che lo avevano tenuto fuori dal piano del detective. Infine un commento sull’ispettore Lestrade. L’attore assomiglia forse un po’ troppo allo Japp (Philip Jackson) di Poirot nella versione con David Suchet, ma a parte questo dettaglio sembra piuttosto in sintonia con Holmes; lo coinvolge nel briefing fatto ai suoi uomini sul serial killer (nel quale Holmes non si smentisce mai e descrive per filo e per segno l’assassino pur non avendolo ancora mai incontrato), lo fa partecipe delle indagini e riesce persino a dire ai suoi poliziotti di sgomberare la stanza di una delle ragazze scomparse per lasciarla analizzare solo da Sherlock Holmes. In definitiva possiamo dire che questa produzione si fa piacere, strizzando l’occhio a una storia apocrifa che regge bene in termini di plot e personaggi. Ci sono ovviamente delle cose che faranno discutere gli holmesiani per tanto tempo, ma tendenzialmente l’interpretazione di Everett e di tutti i personaggi coinvolti è assai godibile. Forse Everett, seproseguirà su questa strada appena intrapresa, potrebbe assurgere allo Sherlock Holmes più indicato del terzo millennio.
Il cast: Rupert Everett: Sherlock Holmes Ian Hart: Dr. Watson Anne Carroll: Mrs. Hudson John Cunningham: Bates Stewart Bevan: Padrone Eleanor David: Duchessa Mary Pentney Penny Downie: Lady Judith Massingham Neil Dudgeon: Ispettore Lestrade Tamsin Egerton: Miranda Helhoughton Jonathan Emmett: Poliziotto Michael Fassbender: Charles Allen Max Harvey: Master delle Cerimonie Guy Henry: Mr. Bilney Rachel Hurd-Wood: Imogen Helhoughton Jonathan Hyde: Duca George Pentney Christine Kavanagh: Lady Helhoughton Helen McCrory: Mrs. Jenny Vandeleur Nicholas Palliser: Dr. Dunwoody Julian Wadham: Lord Hugo Massingham Perdita Weeks: Lady Roberta Massingham Regia: Simon Cellan Jones Sceneggiatura: Allan Cubitt. Prodotto dalla BBC nel 2004.
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