Conoscere meglio Arthur Conan Doyle è di certo un proposito che ognuno di noi ha formulato più di una volta.
Come noto, la letteratura è sterminata, anche se spesso concentrata su una sola sfaccettatura di Doyle: l’essere il creatore di SH e del suo mondo.
Un diverso modo di accostarsi al grande scrittore, ritrovandolo in un quadro più organico, potrebbe allora essere quello di scoprire, o riscoprire, questa sua autobiografia.
Non si tratta di una nuova ripubblicazione ma dato il nostro interesse di appassionati si può considerare un testo sempre attuale.
La versione originale è del 1924 e la traduzione italiana dell’anno successivo.
Abbiamo letto l’edizione del 1987, non più in commercio, che si può però scovare grazie al prezioso servizio delle nostre biblioteche pubbliche locali, oppure su qualche bancarella dell’usato.
Rispetto all’originale in inglese alcune parti sono state omesse, ma resta comunque un corposo volume di trecento pagine, molto fedele.
Per completezza menzioniamo un’altra versione italiana più recente, del 2012, ridotta di circa un terzo, che si trova ancora in commercio come e-book (edizioni “Metamorfosi”). Ovviamente è un adattamento parziale del testo originale di Doyle.
Prima di occuparci dei contenuti, esprimiamo una sensazione provata durante la lettura. Nella cronaca di un fatto di vita o nella descrizione di persone incontrate, sembra a volte di essere in un’avventura di SH. L’efficace stile romanzesco di Doyle travasa anche nella stesura della sua biografia, e in questi frangenti l’uomo che si racconta e l’autore che narra paiono inseparabili.
Venendo al contenuto, senza analizzare nel dettaglio i numerosi capitoli, sembra più adatto all’occasione indicare un percorso di lettura, per ridurre il campo così vasto dell’autobiografia.
In quest’ottica ci permettiamo di dire che la parte più importante del libro è costituita dal primo centinaio di pagine circa. Gli altri due terzi sono forse meno significativi, certo più noiosi.
I capitoli dedicati alle esperienze belliche sui vari fronti sono ripetitivi, seppur in contesti diversi, e attraversati da uno spirito sentimentale e paternalistico.
Sono più piacevoli le parti riservate da Doyle al suo interesse per lo spiritismo. Qualunque sia la nostra opinione sull’argomento, se consideriamo la sua importanza per l’autore, l’influenza esercitata sulla sua vita e il suo pensiero, è davvero coinvolgente avvertire nelle parole di Doyle la sincera convinzione della realtà del fenomeno spiritico. È dunque curioso costatare come questo tema occupi, in fondo, uno spazio così piccolo nell’autobiografia.
Proseguendo in questa sezione del libro, definita meno interessante, incontriamo una tale quantità di accadimenti e di persone che si rende necessaria una considerazione di sintesi, perché è fuor di dubbio che Doyle sia stato un uomo per molti versi straordinario, con parecchie esperienze non comuni.
Lo testimoniano le cronache dei suoi movimentati viaggi d’esplorazione e quelle di navigazioni inaspettate e avventurose.
Viene anche confessato un aspetto forse meno noto dell’uomo: l’irresistibile fascino provato per rischiose imprese speculative, nell’industria e nel commercio, che finirono spesso in fiaschi clamorosi e conseguenti perdite finanziarie.
La passione per la pratica della boxe emerge invece nelle pagine che l’autore dedica ai suoi ricordi sportivi, che lo mostrano comunque impegnato in diverse discipline, con alterna bravura.
L’inquieto Doyle si è cimentato anche con la politica, affrontando in modo coraggioso un paio di elezioni parlamentari. Non il desiderio di entrare in quell’assemblea, ma ancora una volta l’irresistibile profumo della sfida lo spinse, infatti, a presentarsi in collegi notoriamente impossibili da vincere.
A un certo punto della propria vita, Conan Doyle decise di lasciare la professione di medico per dedicarsi alla scrittura a tempo pieno. Più volte in queste pagine traspaiono la sua aspirazione e la sua intima convinzione di entrare a far parte della comunità di grandi scrittori britannici, anche se come vedremo non grazie ai racconti SH. Sorprende, dunque, un po’ che l’impegno principale della sua vita, l’attività di scrittore appunto, trovi nella sua autobiografia uno spazio inferiore a quanto ci si aspetterebbe.
Come d’altra parte stupisce che spesso eventi familiari importanti siano descritti in poche righe, come i due matrimoni, la morte della prima moglie, la nascita dei cinque figli e la loro crescita.
Veniamo però ora alla prima parte del libro, che sembra la più interessante, soprattutto per gli appassionati di SH.
Quanto ci racconta Doyle in queste pagine, sulla sua attività di scrittore e ideatore di SH, è stato oggetto di un’ampia e approfondita letteratura saggistica. Sentire dalle sue parole com’è andata, provoca però un effetto particolare.
Dopo i ricordi della gioventù e una descrizione del suo percorso scolastico, l’autore ci descrive l’esperienza universitaria alla facoltà di medicina.
È proprio qui che Doyle conosce un docente particolare, Joseph Bell, dotato di un’eccezionale facoltà nell’apprendere con poche rapide occhiate numerosi particolari dei suoi pazienti, non solo delle loro malattie, ma anche dei mestieri e dei caratteri. Per sua ammissione, sarà proprio questo “notevole personaggio” a ispirare il tipo e le caratteristiche d’indagatore di SH.
La successiva professione medica di Doyle, poco soddisfacente, attraversa le pagine seguenti della sua autobiografia, incrociandosi però con l’attività di scrittore nella sua fase iniziale, praticata ancora a tempo perso.
Leggiamo così della pubblicazione di “Uno studio in rosso”, ma anche di due amatissimi romanzi storici: “Mica Clarke” e “La compagnia bianca”, che l’autore considera forse la sua opera migliore. Proprio in queste righe Doyle esprime per la prima volta qualcosa che ci amareggia, cioè la convinzione che se non avesse creato SH, considerato un’ombra sulle sue opere migliori, la sua fama di scrittore sarebbe stata ben più grande.
Una dichiarazione sintetica, poi ribadita ed estesa più avanti, che però ben esplicita il noto rapporto difficile tra Doyle e il suo personaggio. Una relazione che si può dire almeno complicata, su cui tanto si è scritto e molto ancora si commenterà.
In questa biografia ci sono due bellissimi capitoli, dove si trovano molte informazioni riguardo alla figura di SH e il percorso creativo che ha prodotto la sua serie di racconti.
Come accennato, s’incontrano anche affermazioni che ci feriscono un po’, come quando Doyle definisce SH un’infima opera letteraria se confrontata agli altri suoi romanzi, quelli storici in particolare. Oppure come quando dice di essersi sentito libero e per niente dispiaciuto di averlo finalmente seppellito a Reichenbach.
D’altra parte, che tra Doyle e SH le cose non siano state semplici, è desumibile anche dal fatto che nella sua autobiografia, su una trentina di capitoli, solo uno è esplicitamente e interamente dedicato alla sua creatura più conosciuta.
Tuttavia, le curiosità e i dettagli che possiamo apprendere su SH leggendo questo libro sono davvero molti. Seguendo magari le indicazioni qui date per un percorso di lettura, potrà scaturirne una scoperta davvero interessante e soddisfacente.
Ucciderò Sherlock Holmes. Memorie e avventure del creatore del celebre detective
Milano, Edizioni Rosa & Nero – Diapress, 1987.
pp. 302
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