La Adelphi riporta in libreria grande classico firmato da Raymond Chandler: Il grande sonno.
Da questo romanzo è stato tratto il film omonimo del 1946 di Howard Hawks, con gli indimenticabili Humphrey Bogart e Lauren Bacall.
La trama
È sempre l’ultimo incarico, per Philip Marlowe. Ma quello che gli abbiamo affidato stavolta, forse, è il più delicato. Sì, perché deve prendere tutto il décor e tutti i ferri del suo mestiere – le palme e il vento caldo di Los Angeles, la penombra minacciosa di interni sfarzosi e lo sfarfallio dell’acqua nelle piscine, il crepitio delle pistole e quello ancora più letale dei lamé –, aggiungerci il suo fuori campo inconfondibile, e rimetterli al posto delle storie spesso ovvie raccontate da migliaia di suoi epigoni, in quell’universo narrativo opaco cui è stato attribuito d’ufficio un nome che non gli apparteneva: il noir. Sì, stavolta Marlowe deve riportare le lancette all’anno in cui tutto è cominciato, il 1939, e al luogo da cui tutto il resto ha tratto origine: questo romanzo. E per fortuna tutto fa pensare che ci riuscirà – o che fallirà magnificamente, come solo lui avrebbe potuto.
L'incipit
Saranno state le undici di un mattino di metà ottobre, con un solicello smorto e un presagio di pioggia intensa nel chiarore delle prime colline. Mi ero messo un completo azzurro polvere, una camicia blu scuro come la cravatta e il fazzoletto da taschino, brogues nere, e calzini di lana neri anche loro, ma con motivo a orologi blu scuro. Insomma ero in ordine: pulito, rasato, sobrio. Lo sapevo solo io, ma pazienza. Da fuori dovevo sembrare il pupazzo dell’investigatore privato lindo e pinto. Ma si poteva capire, stavo andando a trovare quattro milioni di dollari.
L’androne di casa Sternwood era alto, su due livelli. Sopra la porta principale, da cui sarebbe passata senza problemi una carovana di elefanti indiani, c’era una grande vetrata dipinta che raffigurava un cavaliere dalla corazza scura, intento a salvare una donzella legata a un albero e vestita soltanto dei suoi capelli, inevitabilmente lunghissimi. Il cavaliere, per esser cortese, aveva rialzato la visiera dell’elmo, e trafficava senza costrutto con i nodi della fune che legava la donzella. Osservando quell’immagine ho pensato che, se fosse stata casa mia, prima o poi mi sarei arrampicato lassù per aiutarlo. Non dava l’impressione di mettercela proprio tutta.
In fondo al grande ingresso c’era una porta-finestra, oltre la quale un gran prato smeraldino si stendeva fino a un garage bianco. Davanti al garage un giovane autista moro, magro, con gambali neri e lucenti, spolverava una Packard granata decappottabile. Al di là del garage, alcune piante ornamentali tosate con cura, manco fossero barboncini. Ancora più in là, una grande serra con il tetto a cupola. Quindi altri alberi e, sullo sfondo, il profilo compatto, sinuoso e rassicurante delle colline.
A destra dell’androne una scala a sbalzo rivestita di mattonelle conduceva a un ammezzato con ringhiera in ferro battuto e ulteriore vetrata con scena romantica. Lungo le pareti, nei punti liberi, c’erano grandi sedie con lo schienale dritto e l’imbottitura di pelle rossa soffice e tondeggiante. Non sembrava che qualcuno ci si fosse mai seduto. Sulla sinistra, a metà della parete, c’era un imponente caminetto vuoto, con parafuoco in ottone a quattro pannelli. In alto, una mensola di marmo con amorini scolpiti sugli angoli. La mensola era sovrastata da un enorme ritratto a olio, e sopra il dipinto, incrociati e sotto vetro, avevano sistemato due gagliardetti di cavalleria forati da proiettili, o forse smangiati dalle tarme. Il quadro ritraeva un ufficiale molto in posa, nell’alta uniforme dei tempi della guerra messicana. Sfoggiava un impeccabile pizzetto nero, baffi neri, uno sguardo nero come il carbone e, nel complesso, l’aspetto di uno con cui conveniva filare d’amore e d’accordo. A occhio e croce era il nonno del generale Sternwood. Non poteva essere il generale in persona, benché mi avessero detto che era piuttosto grandicello per avere un paio di figlie nell’età pericolosa fra i venti e i trenta.
Stavo ancora fissando quegli ardenti occhi neri, quando sotto la scala si è aperta una porta. Non era il maggiordomo che tornava. Era una ragazza.
Info
Il grande sonno di Raymond Chandler (Adelphi – Fabula n. 352), 261 pagine, euro 19,00 (in eBook, euro 13,99) – ISBN 9788845934384 – Traduzione di Gianni Pannofino
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