Dal 21 al 24 settembre si è svolto a Domodossola il primo festival Domosofia, tema di questa edizione "la leggerezza".
Nell’ambito della manifestazione l'autore Eugenio Giudici è intervenuto per presentare la sua Suite Di Matteo e per un breve intervento dal titolo Leggere Leggero e Intenso.
Note per un relatore che fosse costretto a parlare di me
Sono stato un giallista sin da ragazzo. Lo sono stato come lettore poi come scrittore di assurde e perdute spy story. Leggevo gialli di nascosto e ne scrivevo, su quaderni spessi e a quadretti. Leggere e scrivere divennero pratiche irrefrenabili, oggi si direbbe compulsive. Quando ne abbandonavo una mi impegnavo nell’altra e il mio andamento scolastico ne risentiva moltissimo, tanto che riuscivo bene solo in italiano… fino alla terza media, quando fui bocciato per grave carenza in tutto il resto. Non ricordo come finì, credo all’improvviso, e per anni ne ho perduto coscienza.
Quando ripresi a scrivere avevo altri intendimenti, soprattutto lasciare traccia e memoria dell’Italia, della mia Italia, a una figlia ormai tutta volta al resto del mondo.
Ho cominciato con dei racconti e da subito è riemerso il gusto di affabulare che mi aveva travolto nella prima adolescenza.
Non ho più smesso, da allora non ho avuto giorno senza scrivere qualche riga.
La fortuna di aver avuto una vita ricca e varia di incontri, di luoghi vissuti, di problemi affrontati, di cambiamenti anche radicali mi ha fornito molti spunti e riconosco che quasi tutto quello che ho scritto è un infinito richiamo a qualcosa di personale. Dalla curiosità per un cippo in memoria di un impiccato, agli anni della contestazione, al rapporto con musica e pittura e filosofia. Da lì e dal desiderio di ricostruire il percorso di una linea di pensiero che ha alimentato valori e passioni, determinato scelte di vita e indicato una via di giudizio.
È diventata un’esigenza prepotente che mi ha impedito di fare altro perché il tempo fugge e le cose importanti è bene farle quando si è pienamente in sé.
Occorre forza e dedizione per dare sostanza a un’idea, e ricerche e approfondimenti che costano tempo ed energie per farlo onestamente.
Così ho abbandonato carriera, soldi e agi.
Il primo scrivere è stato dominato dalla ricerca di una forma espressiva.
Non mi consideravo così sofisticato da produrre letteratura e il mio narrare voleva essere più musicale che letterario. Non so se ci sono riuscito tuttavia ne sono nati libri corposi, quasi poderosi, che ancora considero il meglio di me.
Così L’Ultimo Galeone.
Quando venne pubblicato critici e librai, però, lo collocarono tra i thriller e io non m’ero accorto di averlo fatto. Ero convinto di aver scritto un romanzo sulla guerra civile spagnola non sapevo nemmeno definire il genere e non m’interessava. Non era certo roba d’evasione, ma forse, inconsapevolmente, il mio spirito era sempre stato quello del giallista.
Nel frattempo pensavo ad Anna Senzamore. Volevo ricordare una persona della mia infanzia e non avevo una storia da metterle intorno.
Allora decisi che avrei infilato il ricordo di Anna in un romanzo di quel genere e presi a modello Agatha Christie.
Si imponeva nella narrazione una sorta di semplificazione, l’esclusione delle divagazioni, contenersi nell’essenziale pur mantenendo i dettagli e rimanendo strettamente aderente a tutto ciò che attiene al mistero alla base della trama.
Mi sono circondato degli oggetti, delle fotografie, dei giornali, di tutto ciò che ho potuto reperire delle cose che sono dentro il racconto, persino del catalogo di un istituto di bellezza. Nel momento della scrittura, dall’inizio alla fine, mi sono ritrovato così sempre presente, e invisibile, alla scene raccontate.
Il carattere di Anna e il ricordo di lei rivivono nello svolgersi dell’indagine, emergono quasi incidentalmente dagli interrogatori, dalla sua posizione e dal suo ruolo nel delitto.
Il risultato è un giallo di impostazione classica, c’è la vittima, il mistero, la soluzione difficile da trovare e un ufficiale di polizia, il commissario Saro Di Matteo, funzionale alla storia che non è quasi descritto perché, pur essendo protagonista, era per me incidentale. Ma c’è anche una rigorosa attenzione alla ricostruzione storica e all’utilizzo di un linguaggio aderente all’epoca.
Quando finii di scrivere Anna Senzamore lo diedi ad alcuni amici tra i miei lettori pilota ma omisi il finale, quindi li invitai a cena promettendo loro che in quell’occasione lo avrei svelato. Volevo mettermi alla prova e scoprire se fossi stato capace di scrivere un vero giallo. Fu l’inizio di un gioco che continua ancora.
Sono stati loro a spingermi verso la Suite Di Matteo: il commissario era rimasto impresso quanto Anna! Quei lettori pilota mi invitarono a raccontare con lui altre storie in giallo.
Senza accorgermene iniziò un dialogo tra me e i lettori in cui li sfidavo a capire, dando tutti gli indizi in modo che potessero immaginare anche un finale diverso dal mio.
Ne pas se pencher au dehors, Chiare fresche dolci acque e il prossimo Intrigo sul lago dorato sono nati così e per il gusto di scrivere invitando il lettore in una partita a due. Ma anche lasciandolo libero, in leggerezza, di abbandonarsi solo alle emozioni del racconto.
Nondimeno la lettura può farsi profonda, contenuti come il disagio mentale, la critica d’arte o la difficile convivenza tra etica e morale in un contesto difficile come quello degli anni trenta, vanno oltre la trama del poliziesco, la rendono più intensa aprendo a temi e riflessioni affrontati in modo morbido o in sottofondo. Ed è quanto basta.
Ne è venuto fuori un leggere leggero e intenso.
Ho fatto pace con la giallistica e l’idea che costituisca un genere da intrattenimento, un passatempo da viaggio, insomma una letteratura di serie B.
Riconosco e rivendico che questo gioco possa avere tutti i colori della tensione e della distensione, contenere valori e ideali quanto i libri dall’intento dichiaratamente più alto.
Ed è bello che mi diverta a scrivere pensando al lettore come ad un ascoltatore che a sua volta indaga le mie intenzioni e un poco si appassiona quando lo stesso accade a me scoprendo quel che sto raccontando.
Ancor più bello accorgersi che lo scrivere in leggerezza consenta di essere comunque intenso, del resto il giallo è passato da Gaboriau a Poe, a Dostievskij e tutti noi ne siamo i discendenti, immeritevoli ma fortunati di esserlo.
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