La vita è ancora in quei capelli,
la morte è nei suoi occhi.
Edgar Allan Poe, Lenore
Nel 1849 gli Stati Uniti si preparano a dar forma al ‘destino manifesto’, cioè a spingersi verso ovest confidando aprioristicamente nella ‘superiorità’ della civiltà europea (bianca) nei confronti della civiltà dei nativi d’America (gli indiani selvaggi). Nello stesso anno, a Baltimora, un uomo muore appena quarantenne in preda a uno stato d’incoscienza; quell’uomo è un famoso poeta e scrittore si chiama Edgar Allan Poe.
Mentre la giovane nazione statunitense si volta all’ovest, lo scrittore, poeta e giornalista Edgar Allan Poe si volge all’est; Inghilterra, Germania, Francia, Italia e Grecia sono i luoghi dei suoi autori, dei suoi interessi poetici e letterari.
È stato D.H. Lawrence a far notare la profonda differenza tra J.F. Cooper, lo scrittore che crea il mito della frontiera americana (per cui l’ovest) e Poe, tra i più europei degli scrittori americani.
La sua breve vita si articola in un binario immaginario, ma lineare, che unisce Richmond, Baltimora, Filadelfia, New York e Boston; tutte queste città sono posizionate lungo un percorso di una certa linearità, da sud verso nord lungo la costa orientale degli Stati Uniti, il lettore più disciplinato può tentare una verifica su una qualsiasi cartina geografica.
Edgar Allan Poe nasce a Boston, nel nord, ma è il sud con la Virginia e Richmond a segnare il paesaggio indelebile della sua infanzia e adolescenza. Avrà sempre pose da aristocratico fieramente elegante, anche nella povertà, condizione che conoscerà molto bene. Scettico verso il progresso e la democrazia sarà una delle voci più critiche della sua società, dei suoi poeti e intellettuali.
Quando entra a far parte di una redazione di giornale, e quando cominciava a scrivere per lo stesso, è capace di portare le copie da 5.000 a 40.000, ottuplica le vendite e i lettori.
Cento anni prima della beffa radiofonica dei marziani di Orson Wells, Poe pubblica un articolo, La beffa del pallone; in questo breve testo annuncia che un pallone con equipaggio (una mongolfiera) ha appena attraversato l’oceano Atlantico dall’Inghilterra all’America. Sono migliaia le persone a crederlo e a riversarsi sotto le finestre della redazione del giornale.
Una parte della ‘leggenda nera’ nata intorno a lui si deve alle sue crisi dovute all’alcool, molto si è scritto ma poco di certo è stato verificato, tuttavia sembra che lo scrittore non tollerasse l’alcool; due soli bicchieri lo gettavano in una stato di malessere tale da dover attendere giorni prima di riprendersi del tutto.
Le più complete biografie su Poe sono Israfel, The Life and Times of Edgar Allan Poe di Hervey Allen, Londra 1927, insieme a quella di Arthur Hobson Quin, Edgar Allan Poe A Critical Biography, esiste un lungo e pregevole saggio sulla vita di Poe ad opera di Julio Cortàzar. Anche lo scrittore argentino come Poe è un maestro del racconto breve, la sintonia tra i due autori emerge in tutto lo scritto dedicato al poeta del Corvo.
In effetti Poe ha compreso fin da subito le potenzialità del racconto breve e della rivista-quotidiano, la sua opera è infatti essenzialmente legata al racconto, un solo romanzo, Artur Gordon Pym, figura nella sua bibliografia. Intuisce come lo sviluppo della tecnica, del lavoro e i commerci della borghesia e dell’uomo cittadino, abbiano modificato anche il gusto e il tempo del fruitore del romanzo (si veda il racconto L’uomo della folla). L’unità dell’effetto richiesta dal lettore moderno viene resa meglio dalla poesia (non più dal poema lungo) e dal racconto breve (non più dal romanzo).
È uno dei primi autori a porsi con metodo e con regolarità il problema del lettore e del pubblico a cui si rivolge, uno dei suoi testi più noti è proprio Filosofia della composizione, in cui come noto narra le vicende ‘razionali’ e ‘logiche’ che lo hanno portato a scrivere la sua poesia più famosa, The Raven. Non è un caso che Poe e il suo Filosofia della composizione siano spesso citati da Umberto Eco nelle sue riflessioni sul ruolo del lettore e sull’interpretazione di un testo.
A tal proposito Roman Jakobson sostiene l’ipotesi di uno stretto rapporto tra il testo e il dato biografico del poeta, nello specifico la storia intima di Poe con la giovane moglie Virgina Clemm; come si sa la moglie morirà ancora giovanissima per la rottura di un’arteria. Secondo il poeta la sua poesia più famosa è invece un lucido ragionamento volto a trovare l’effetto giusto, nessuna parte è dovuta all’intuizione ma al processo simile alla soluzione di un problema matematico.
Il Corvo deve raggiungere la bellezza che è un effetto e il tono più giusto è la malinconia: “La malinconia è perciò il più appropriato fra tutti i toni poetici”[1]; per rendere al meglio l’effetto cerca una trovata usuale tra gli effetti artistici e: “Nessuno è mai stato universalmente impiegato come il refrain”[2] che trova nella parola Nevermore.
Ma chi sarà a pronunciare la parola, infatti: “La difficoltà stava nel conciliare questa monotonia con l’uso della ragione da parte della creatura che ripeteva la parola”[3].
Un animale avrà un effetto più straniante dell’uomo, allora quale animale? Un pappagallo? Meglio un corvo sembra più adatto al tono malinconico imposto dall’autore. A questo punto si domanda: “Fra tutti gli argomenti malinconici, qual è, per generale assenso dell’umanità, il più malinconico? La morte è stata l’ovvia risposta”[4].
“Il mio primo obiettivo, come sempre, è stato l’originalità […] Il fatto è che l’originalità […] non è affatto una questione di impulso o di intuizione, come alcuni suppongono. In generale là dove si trova essa è stata cercata laboriosamente”[5].
Ecco come la poesia più famosa di Poe ha visto la luce. Tutto questo non ci convince, anzi ci diverte come una burla ben architettata; il discorso di Poe è una critica al concetto romantico (ma anche molto più antico) dell’ispirazione. È un ‘attacco’ all’iconografia classica del poeta (e del profeta) con lo sguardo perso verso il cielo, la penna d’oca in bocca volto ad attendere la musa o in preda alla sua ispirazione. Molti elementi partecipano alla creazione artistica (a tutte le creazione), il caso personale e la tecnica vi hanno un ruolo quasi paritario.
Nell’Etica nicomachea Aristotele afferma: “sempre l’arte (techne) ama il caso (tyche) e il caso l’arte”, in questo modo pone l’accento sulla similitudine tra caso e arte (tra tyche e techne), tra ciò che è possibile e allo stesso tempo ciò che può non essere.
Non ha torto Roman Jakobson nel leggere nel Corvo la parabola personale del poeta, ecco che il caso (la storia personale del poeta) incontra la tecnica.
La modernità è stata vissuta dai grandi poeti come un dramma, lo è stato per Leopardi, per Baudelaire ed è così anche per Poe; uno dei critici ed esegeti più acuti della modernità, Walter Benjamin, ha spesso usato il poeta di Boston e la sua opera per avallare la sua teoresi sulla città, sulla merce, sul sex appeal dell’inorganico. La forza attrattiva di questo poeta e scrittore non cessa di sedurre il lettore più giovane come il lettore più ricercato.
Al padre della detective story non poteva mancare un mistero finale legato alla morte. Il 3 ottobre 1849 lo scrittore fu ritrovato delirante per le strade di Baltimora, “in grande difficoltà, e […] bisognoso di immediata assistenza”, secondo Joseph W. Walker, il cittadino che lo ha trovato e soccorso i primi momenti.
Viene accompagnato all’ospedale Washington College, dove muore domenica 7 ottobre 1849, alle cinque del mattino. Il suo stato fisico non gli consente di tornare sufficientemente lucido per spiegare come si fosse trovato in tali gravi condizioni, né come mai indossasse abiti non suoi.
L’effettiva causa della morte rimane un mistero, dovuto anche alla perdita della cartella clinica; a partire dal 1872 si ritenne che fosse stato rapito e costretto a bere alcool, per essere sfruttato come “elettore forzato”, una pratica in uso nel XIX secolo conosciuta come cooping.
Con questo termine, cooping, si vuole definire la pratica fraudolenta di costringere con forza i partecipanti a una votazione a esprimere il proprio voto, anche più volte, per un particolare candidato. Esempi di questa pratica sono documentati nelle prime elezioni politiche a suffragio universale nel XIX secolo. Chi subiva il cooping veniva segregato in una stanza chiamata coop («stia», «pollaio») e gli venivano somministrate droghe e alcolici per piegare la sua volontà. I malcapitati qualora si fossero rifiutati potevano subire percosse e sevizie. Spesso venivano anche cambiati i vestiti (indossate parrucche e baffi finti) per permettere loro di votare più volte.
Come se questo mistero non bastasse, cento anni dopo, nel 1949 se ne aggiunge un altro: un mazzo di rose rosse e una bottiglia di cognac appoggiate ai piedi della tomba dello scrittore. Un omaggio lasciato da una persona misteriosa. Un gesto ricorrente compiuto con razionale puntualità nel giorno dell'anniversario della sua nascita, anno dopo anno. Il curioso rituale prende forma ogni 19 gennaio, ha suscitato la curiosità di molti che s’interrogavano sulla possibile identità dell’uomo (o donna) che veglia la tomba di E.A. Poe. Con il tempo, la leggenda del custode della tomba dello scrittore si è diffusa rapidamente. Il rituale si interrompe nel 2010 lasciando amareggiati i moltissimi fan che aspettavano l’usuale omaggio, forse il troppo clamore ha spinto l’uomo, o la donna, a desistere; è curioso il fatto che in tanti anni nessuno si riuscito a vedere l’appassionato cultore di Poe che lo ricordava con tre rose e una bottiglia di cognac.
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