La battaglia navale di Marco Malvaldi, Sellerio 2016.
Quando ho voglia di farmi qualche risata mi butto sui libri di Marco Malvaldi. Come in questo caso tra il vernacolo sboccato e le battute esplicite dei vecchietti del BarLume presso Pineta, sul litorale pisano. Precisamente al “Bocacito”, il ristorante più elegante della zona. In quattro a lavorarci: Aldo, Tiziana, Tavolone e Natasha, ognuno con le sue storie.
Per Massimo, che fa parte della brigata casinara, urge una vacanza con la fidanzata Alice Martelli, vicequestore di Pineta. Tutto facile se non si abitasse proprio qui, dove arrivano morti ammazzati a babordo e a tribordo. Come quello di Olga “Vattelappesca”, una badante ucraina ritrovata stecchita sulla spiaggia del luogo. Sposata e angariata da un elemento ben noto alla polizia per varie e losche faccende. Primo punto.
Secondo punto. Alcune ville vengono prese di mira da ignoti vandali armati di bombolette spray di vernice rossa con la scritta “Dio è grande” in arabo e in italiano. Solo una risparmiata su cinque. Perché?
Terzo punto (i tre punti si intersecheranno fra loro). Perse le tracce di una certa Sharon Pigliacelli, australiana di ventidue anni.
Nelle ricerche ad Alice e i Quattro della prostata selvaggia si aggiunge il “compagno” Armando Maria Mastropasqua (frecciatine anche su di lui) per sapere qualcosa dalle ucraine che conoscevano Olga e tutte a dire che era un angelo, mentre sniffava di brutto. E, forse, guarda un po’, l’hanno uccisa proprio loro per appropriarsi del permesso di soggiorno, oggi quasi un tesoro.
Il lavoro d’indagine come una battaglia navale “All’inizio spari alla cieca, e non cogli niente, ma è fondamentale che tu ti ricordi dove hai sparato, perché anche il fatto che lì non abbia trovato nulla è una informazione.” (Alice). Tanto per spiegare il titolo del libro.
Malvaldone è un furbo matricolato di tre cotte. Ogni tanto butta lì qualche parola o frase “strana” che attiri la nostra curiosità e poi via a smascherarla nella maniera più simpatica possibile. Vedi, per esempio, il “fattoriale” e te ne fa una disquisizione scientifica, oppure, tra un dialogo e l’altro, ti scaraventa addosso “Sampling bias” e giù con piglio cultural-semiserio in un contesto da ridere. Ancora ti spiattella in stretti dialoghi qualche fetta di problematica individual-sociale sul fatto se siamo tutti uguali o meno, e ti cita con nonchalance Umberto Eco e la Bibbia che un pizzico di cultura tra frizzi e lazzi fa il suo bell’effetto.
La vicenda giallistica in se stessa conta sì, ma fino ad un certo punto (mi pare ben costruita anche se complicatina). Quello che colpisce sono le figure, gli attori prostatici o meno, che sbalzano in rilievo con i loro tic, le loro manie, le loro problematiche (vedi, per esempio, Massimo in tensione che parla da solo chiuso in macchina, o il Rimediotti costretto a spiccicar parole strambe attraverso un tastino, causa intervento alla carotide). Personaggi veri, vivi, vitali pronti alla battutaccia popolare, alla critica sferzante ma pronti pure all’abbraccio sincero che l’amicizia è sacra. Come tutti (o quasi) quelli della mia amata Toscana.
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