Alla deriva di Michael Katz Krefeld, Einaudi 2015.
Copenaghen. Tre personaggi: Masja (21 anni), Thomas ed Erik. Tre storie in tempi diversi che si riallacciano fra loro. Dunque Masja, venduta dal fidanzato Igor per debiti di gioco al criminale Slavros che gestisce una rete di bordelli. La storia più agghiacciante fatta di violenze, soprusi, droga. Una umanità violata e distrutta. Solo il suo diario rivolto alla madre, dove annota la cruda esistenza personale e quella delle altre sfruttate, la tiene in vita.
Poi c’è il detective Thomas Ravnsholdt, soprannominato Ravn, ormai un derelitto attaccato alla bottiglia dopo che gli hanno ucciso la moglie Eva. Vive sulla sua barca Bianca (ormai a pezzi) e il cane Møffe. Sospeso anche dal servizio ecco che un amico gli chiede di ritrovare una ragazza scomparsa (sarà proprio Masja) tra i bassifondi di Copenaghen e Stoccolma.
Per terzo arriva Erik, figlio di un tassidermista che impaglia gli animali, lavoro che lo affascina e lo spingerà a introdurre particolari “innovazioni”.
Un libro ben scritto, certo, ma in qualche modo scontato con il solito sbevazzone che vive di ricordi e che in qualche modo cerca di uscire dalla deriva; il mondo marcio, implacabile della prostituzione e il tassidermista (già trovato in altri scritti) che segue il suo sogno allucinato e allucinante. Movimentato il giusto tra botte, sparatorie, You Can Leave Gone Hat On di Joe Cocker, Private Dancer di Tina Turner e Everytime You Go Away di Daryl Hall. Contorno nordico con il classico freddo e la classica crisi familiare che sfocia in tragedia.
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