Dal diario del dottor J.H.Watson
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25 Giugno 1882
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Sono un medico, sono stato un soldato. Sono stato in battaglia e non ho avuto paura di uccidere. Mi rendo conto di quando mi si tende un agguato.
Per quanto quello della signora Smith, del 210a, sia stato ben architettato non ho alcuna intenzione di cedere. E non importa se è una donna gentile, con luminosi occhi azzurri e innocenti.
Deve avermi osservato a lungo, prima di attirarmi in trappola. Mi ha osservato l’anno precedente, quando ero solito uscire dal 221b in compagnia del mio Bob. Si è ricordata dell’irruzione dei ladri e del mio sgomento alla scoperta della morte della bestiola. Proprio nominando Bob è riuscita a convincermi a visitare la sua cagnolina e la nutrita cucciolata di piccoli, deliziosi bulldog, poiché, seppur non sono un veterinario, sono pur sempre un amante della razza e avrei potuto consigliarla sulla salute delle bestiole. Tutte chiacchiere.
Appena entrato in salotto, mi ha messo in braccio il più piccolo dei cuccioli, un frugoletto tutto pelle grinzosa e zampette, che subito ha iniziato a lapparmi le dita. Il piccolo è il nono cagnolino della cucciolata, rifiutato dalla madre, senza un acquirente o una una persona di buon cuore disposta a prendersene cura… Intanto, la bestiola mi guardava con i suoi occhietti languidi, mentre la codina che si dimenava ad ogni mia carezza…
Sono un soldato, un medico e un uomo di mondo. Nella mia vita ho ucciso, ho dovuto dire a dei parenti che per il loro caro non c’era più speranza, ho tenuto la mano a dei morenti. La mia risposta poteva essere una soltanto. No.
Non posso portarmi a casa la bestiola. Per il suo bene, principalmente.
La convivenza di una qualsiasi creatura indifesa con Holmes è impossibile.
Non penso davvero che possa usare il cucciolo per sperimentare intrugli, veleni o altri composti chimici. Non per bontà d’animo, si badi bene. Solo perché è consapevole che la fisiologia di uomini e animali è diversa. Gli intrugli chimici preferisce testarli su se stesso. O sul sottoscritto. A sua insaputa, ovviamente.
Sono le abitudini quotidiane che mi spaventano.
Tutti i cuccioli di cane amano rosicchiare le pantofole. Solo Sherlock Holmes ha l’abitudine a tenere il tabacco in una babbuccia persiana. Immaginate la duplice iattura di un bulldog con i dolori addominali per aver ingurgitato del trinciato forte e di un consulente investigatore furente, senza la possibilità di calmarsi con l’ausilio della propria pipa.
Immaginate poi di aggiungere un cucciolo di cane alla visione di un salotto sotto sopra con ritagli di giornale sparsi ovunque in quello che a chiunque pare un caos senza capo né coda, ma che è il nuovo sistema del nostro investigatore per dividere le informazioni prima di archiviarle. Già immagino la bestiola intenta a sbavare sugli articoli riguardanti un certo professore di matematica esperto di asteroidi, l’ultima fissazione del mio coinquilino.
I cani abbaiano. A volte guaiscono. Altre ancora si risveglia in loro la reminiscenza di un’ascendenza lupesca e ululano. Risveglio che avviene con più facilità se si ha un coinquilino che suole passare nottate intere a cercare di far produrre al proprio violino i più lugubri lamenti da romanzo gotico. Già immagino, Sonata in sol minore per violino e cane, durata: cinque ore a partire dalla mezzanotte.
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