{page:WordSection1;} --> Anno Domini di AA. VV., Mondadori 2014.
Ottima questa iniziativa di Franco Forte che nella Introduzione specifica “Anno Domini cerca di fare questo: fornisce le tessere per un mosaico di spessore che non solo ridisegna alcune epoche storiche del nostro passato (dall’antica Roma fino al Risorgimento), ma proietta il lettore negli scenari vividi dell’avventura e dell’investigazione, che permettono alle menti lucide dei nostri protagonisti non solo di scovare i colpevoli di atti criminali, ma anche e soprattutto di inquadrare il film della Storia nell’ambito delle sue motivazioni sociali e culturali, per cogliere i rimandi del passato come esche succulente di cui oggi si dovrebbe fare tesoro”.
Intanto un bell’excursus temporale. Si parte dal 189 A.C. e si arriva al 1844. Si parte da un carico prezioso al tempo degli Scipioni da trafugare (praticamente diecimila talenti) e si finisce a Firenze, durante l’”invasione” dell’Arno, quando il capitano di polizia ducale Federico Piccini è alla caccia di un ladro evaso. Nello stesso tempo viene uccisa la sua ragazza che di nascosto “faceva la puttana”, in relazione pure con un anarchico che lancia volantini contro gli austriaci. Una bella gatta da pelare. E Federico la pela…
Nel mezzo di tutto e di più come il pedinamento di una tal Merope da parte di un ex gladiatore perché non tradisca il suo protettore Tincilio Asiatico che si ritrova con la testa fracassata. A Bologna nel 1315, prima di spirare, un morto accusa Mondino de’ Liuzzi, medico anatomista all’Università. Intorno alla bocca schiuma biancastra e vomito, sulla fronte una h corsiva tatuata, di mezzo i sette pianeti che governano un metallo diverso e un viaggio incredibile nel mondo dell’alchimia. Ci sono pure Machiavelli e Leonardo alle prese con le sue terribili “macchine” e lo studio del corpo dei morti. Ed è proprio su uno di questi che il famoso pittore tira fuori una serie di deduzioni da far impallidire Sherlock Holmes con il segretario fiorentino a sostenere la parte del dottor Watson.
Abbiamo racconti di scorrazzante avventura come quello che ha per protagonista Pietro d’Arezzo (siamo nel 1526), uomo libero e poeta che sta per accasarsi con Ippolita Ubertini “la vedova più ricca di Cortona” (mica scemo). Il furto di una pergamena lo porta a continue peripezie, a scontri verbali e non, e perfino al tentativo di uccidere il cardinale Ridolfi. Andando avanti nella lettura incontriamo lo scultore Giambologna dedito a creare la famosa fontana, con un paio di morte ammazzate ed una scomparsa; e troviamo pure un commissario speciale della Repubblica di Genova con “la bocca piena di sangue e l’impugnatura di uno stocco” infilata nella schiena (classica porta chiusa dall’interno). Ad indagare Francesco d’Orno, bargello di Nove, e Luca Cattaneo. Focolare acceso con i resti di un gatto, libri di streghe, di notte “colpi e lo strusciare di una catena” (secondo una testimonianza). Di mezzo il diavolo o è tutta una montatura?
E poi guerra e morte a babordo e tribordo come in un incubo a seguire l’imbattibile (finché non viene battuto) Wallenstein nelle sue battaglie “dalla Montagna Bianca al Ponte di Dessau, da Lutter a Wolgast”. Talmente imbattibile e temibile da essere esautorato dal suo stesso imperatore Ferdinando II d’Asburgo (siamo nella prima metà del ‘600). Apocalittico. Insomma un gran baluginare di morti ammazzati, di indizi, di deduzioni, di pensiero e azione che si intrecciano fra loro, un gran lavorio di ricostruzione storica con personaggi che abbiamo incontrato spesso nelle nostre letture di giovincelli scherzosi. Pezzi davvero belli, di alto valore, dove giganteggiano un paio e non vi dico quali.
Ah, dimenticavo, i nomi degli autori: Altieri, Ancarani, Bonfiglioli, Colitto, Comastri Montanari, Fontana, Leoni, Manfredi, Martigli.
Nel giallo storico non ci batte nessuno.
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