Ho esordito con un romanzo noir, moltissimi anni fa, quasi 25. Si chiamava Per il sangue versato e uscì nella collana mondadoriana “Nero Italiano”. Ai tempi, devo ammettere la mia produzione (ancora quasi totalmente inedita se non per brevi racconti) era impostata sullo spionaggio e l’avventura. Certo avevo letto alcuni romanzi neri, i racconti di Scerbanenco ma, forse perché ero giovane e pieno di slanci di fantasia il genere non mi interessava molto. Lo conobbi quando fui selezionato per la collana che ai tempi curava Massimo Moscati con il quale collaboravo per la rivista Febbre gialla. Tempi che adesso mi paiono lontanissimi.
In realtà mi si aprì un nuovo orizzonte proprio leggendo i testi che mi venivano consigliati. Goodis, Stark e chiaramente Ellroy che, ai tempi, era al massimo della sua fama con Dalia Nera. Mi si schiuse un mondo immaginario che mi affascinò subito portandomi lentamente a introdurre alcuni temi o meglio atmosfere del nero anche nell’avventura (credo che si noti in alcuni capitoli genovesi di Pista cieca e in Sopravvivere alla notte). Per me che ero così proiettato verso l’Oriente, gli orizzonti lontani, l’azione adrenalinica delle avventure della spy più scatenata, fu una rivelazione.
Per il sangue versato forse non è il mio miglior romanzo, un po’ pagavo l’inesperienza, un po’ c’erano effettivamente molti paletti imposti dall’editore e dal curatore che volevano una collana vendibile in televisione. Poi la narrativa di genere italiana non era ancora stata sdoganata. Però ne uscì un ritratto della mia Milano abbastanza convincente. Era, naturalmente la mia città di quegli anni, del periodo della giovinezza, dell’esperienza di volontariato in Croce Rossa, di tante cose che erano e che il tempo ha cancellato. Per lunghi anni ho continuato a flirtare a distanza con il nero, inserendone alcune suggestioni nell’avventura, nello spionaggio. Nel 2007 ho compiuto il balzo di Gangland che tutti ricordate.
La spy story s’incontrava con il poliziottesco in un romanzo che un editore giudicò troppo duro e invece entrò con grande successo in Segretissimo, tanto da ispirare altre storie milanesi del professionista e, ancora oggi, qualche incursione all’interno di più complesse missioni. Poi, come sapete ha scritto gialli, thriller, altre cose italiane non esattamente nere. Eppure quel nucleo che poi è sempre atmosfera, mi è rimasto dentro. Già con Un giorno a Milano (nel quale però c’è una storia di Chance) sono tornato nelle vie notturne della mia città. Ancora non mi bastava evidentemente perché a pochi mesi di distanza Paolo Roversi direttore della collana Calibro 9 mi chiese una nuova storia, un romanzo, ma con nuovi personaggi. E anche con uno spirito un po’ diverso se non contrastante con quello di Gangland. Nasce così Tutti all’inferno che ha per protagonista Pietro Mai, pugile cinquantenne, con un passato non proprio specchiato ma un forte senso morale. La sua palestra, la mani di pietra, si trova con la fantasia in via Panfilo Castaldi a pochi passi da piazza Oberdan, in corso Buenos Aires, nel cuore pulsante della Milano che conosco e vivo tutti i giorni. Al suo un personaggio femminile che spero vi piacerà. Liana Sestini che è più giovane di lui di venticinque anni, è quasi una... “Bimba” ma con caratteristiche sue. Una ragazza moderna, volitiva che ha seguito le orme del padre poliziotto m orto sulla strada. Una che si allena di Boxe tre volte la settimana ed è a ragione o a torto, sempre un po’ insoddisfatta del rapporti con i superiori. Non è laureata e non sarà mai commissario e questo fatto di essere considerata una utile manovalanza dal commissario Re e dal giudice De Stefani, paladini della giustizia, almeno peri media, la irrita, la fa sentire offesa, usata. Tra lei e Pietro un legame, o forse più di uno, irrisolto, in divenire. Vedremo, anche perché Pietro che è uomo vero, capace di prenderle e di darle, ha una ferita interiore. L’abbandono della moglie che lo ossessiona al punto di ritenere la palestra e i suoi ragazzi la sua famiglia. Una famiglia per cui, a volte, si prendono dei rischi, come accade nel racconto Regole di strada che uscirà nell’antologia “Delitti d’Estate” sempre edita da Calibro 9 in programma per l’estate. Una serie quindi fatta di storie più lunghe e altre più brevi a comporre un mosaico della mia città. Che alla fine è sempre Gangland, con le bande di urka ucraini, con i mafiosi turchi, i saloni per massaggi cinesi, la malavita dei colletti bianchi e quella delle strade. Intorno a tutto, o forse dentro tutto, un colpo da leggenda di cui non si è saputo più nulla ma che riemerge dopo anni sotto forma di un anello da smerciare a tutti i costi. Perché il tempo scorre e il basista leggendario, rappresentante di quella mala vecchia che si oppone alla nuova, deve uscire allo scoperto e fuggire. Prima che di galera esca il Truce, il rapinatore che doveva prendersi due palle in corpo ma è sopravvissuto e cerca vendetta. Insomma la città torna a essere protagonista come in ogni buon nero criminale che, diciamolo, è anche un po’ un ritratto sociale, ma non pedante e sicuramente schivo da ogni “messaggio”. E qui si incontrano due passioni letterarie di chi scrive. Scerbanenco e Stark, cucinate nella salsa della Milano di oggi, della crisi. Della violenza certo, anche se questa volta un po’ più realistica. Insomma una nuova sfida nella quale spero di avervi con me.
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